Una premessa, attinente alla “crisi della politica” di cui ha parlato Fausto Bertinotti nell’ultimo articolo su Il Riformista di sabato 19 marzo. Come al solito volo consapevolmente molto più basso di Bertinotti. La crisi della politica per ciò che riguarda l’Italia comincia col 1989 ed esplica interamente intorno al 92-94.
Allora i grandi gruppi finanziari editoriali, non essendo più pressati dal pericolo comunista tolsero la loro delega in primo luogo proprio alla Dc, al Psi, ai partiti laici e diedero via libera ad un circo mediatico giudiziario composto dai direttori dei più grandi giornali, dal Tg3 di Sandro Curzi e dalle reti Mediaset. Il “circo” tradusse in corruzione quel finanziamento ultra irregolare dei partiti che c’era dai tempi di De Gasperi, Togliatti, Nenni e Saragat e per di più usando due pesi e due misure.

L’antipolitica e il populismo, che ebbero molte versioni, nascono da lì. Il Pds di Occhetto, D’Alema e Veltroni scartò l’ipotesi dell’unità socialista avanzata dai miglioristi e da Craxi e scelse di omologarsi alla operazione salvando se stesso sul piano giudiziario ma diventando un partito giustizialista e neoliberista. Di qui la crisi della politica in Italia. Invece dopo il 1989 il mondo occidentale ha attraversato più di una crisi, la più grande è stata la vittoria di Trump negli Usa (non a caso favorito in molti modi da Putin). Ma nel complesso in Occidente c’è stata e c’è una aperta dialettica democratica far Democratici e Repubblicani americani (questi ultimi caratterizzati da profonde differenze), socialdemocratici, liberali, moderati popolari e destra sovranista e populista. Al di fuori dell’Occidente in Cina c’è un singolare ircocervo: un ferreo stato-comunista e un sottostante capitalismo selvaggio. La Cina è segnata da un’ambizione dell’egemonia mondiale costruita in modo graduale, da una grande forza tranquilla che lavora più attraverso l’imperialismo economico che non quello politico-militare, tranne che nel mare della Cina. In Russia l’Urss è finita male, per implosione. Finito il riformismo gorbacioviano e l’incerto liberalismo di Eltsin, il potere è stato assunto da Putin e dagli uomini del Kgb.

Paolo Guzzanti ha spiegato che il Kgb è molto di più della Cia, o del MI6. È la struttura che ha tenuto in piedi la Russia. Ma per guidare un Paese complesso e tragico occorre un progetto, tenendo conto dell’autoritarismo che è l’anima profonda di quel Paese, malgrado le minoranze liberali e socialdemocratiche, vedi i menscevichi. Putin è un “dittatore totale” (che non a caso uccide gli oppositori più pericolosi e incarcera a migliaia i dimostranti), portatore di un nazionalismo espansivo e predatorio che, armi alla mano, vuole ricostituire non l’Urss ma la Grande Russia, i suoi confini fondamentali avendo come punti di riferimento storico Pietro il Grande, Ivan il Terribile e Stalin. Da teorici come Dugin, Putin trae progetti come l’Eurasia, la terza Roma, la Grande Russia con una repulsione per un Occidente libertino, pervertito, in crisi, incapace di rispondere sull’unico terreno che Putin apprezza, quello militare, come è emerso dal ritiro disastroso dall’Afghanistan, un Occidente suscettibile di essere comprato e corrotto in mille modi. Alla luce dei fatti, riteniamo che il tentativo di mettere in piedi un dibattito tra “pacifisti” e interventisti o guerrafondai è una mistificazione.

Sarebbe un dibattito giusto se due Stati avessero degli scontri alla frontiera o se si fosse davanti ad una guerra fra due Stati dichiarata attraverso gli ambasciatori. No, la Russia di Putin il 23 febbraio ha scatenato un attacco tuttora in corso con 150 mila soldati, bombardamenti, con morti, feriti e 3 milioni di persone in fuga. Qui ci troviamo di fronte non ad una guerra – non a caso lo stesso Putin parla di “operazione militare speciale” – ma a una aggressione. C’è o meno il diritto di resistenza da parte del popolo aggredito e non c’è una sorta di dovere da parte di tutti coloro che solidarizzano con gli aggrediti di sostenerli in tutti i modi anche con l’invio di armi da essi richieste? Per di più, Putin ha dei precedenti in materia, prima la Georgia poi nel 2014 la Crimea con una patente violazione del diritto internazionale. Allora, l’esercito ucraino non reagì e la comunità internazionale reagì con moderate sanzioni, peraltro contestate in Italia da Salvini e da Grillo e in Francia da Le Pen. Putin ha creduto che anche stavolta si sarebbe trattato di una passeggiata come nel 2014. Non è andata affatto così: da un lato Zelensky si è rivelato un grande leader, l’esercito ucraino si sta battendo con eroismo, come una larga parte del popolo, e alla fine malgrado la rete di interessi economici tutti (gli USA, l’Unione Europea, la Germania, la Francia, l’Italia e in prima fila gli Stati del patto di Visegrad) hanno capito che o Putin viene bloccato adesso, oppure passo dopo passo ci porterà ad un’altra serie di annessioni territoriali fatte armi alla mano e ciò alla fine condurrà ad una Terza Guerra Mondiale.

C’è chi parla in Italia della necessità di una resa per evitare una “inutile strage” e, in nome del pacifismo, condanna l’invio di armi. Poi c’è chi come Monsignor Paglia afferma che è il tempo della politica, bisogna trattare, trattare, trattare. Ha risposto giustamente Valter Vecellio: «per trattare bisogna essere in due, Zelensky sta richiedendo la trattativa, Putin gli ha risposto con la manifestazione revanchista, perché egli non vuole trattare, ma “asfaltare” l’Ucraina». A proposito di ciò che dice monsignor Paglia, ci permettiamo di far nostro l’appello avanzato da Domenico Quirico che Papa Francesco si rechi a Kiev. E allora, di fronte al Putin che rifiuta la trattativa e riprende i bombardamenti, come dovrebbero rispondere gli Ucraini? Paradossalmente, al punto in cui siamo, la trattativa è possibile solo attraverso una resistenza fatta armi alla mano, anche perché Putin – se gli Ucraini si arrendono – mette al potere un dittatore fantoccio come Lukashenko. Per quello che sappiamo, questa della resa è una discussione che si sta svolgendo qui in Italia e fra noi italiani per di più con attacchi e contrattacchi fra le singole personalità. Non vogliamo entrare nel merito di questa guerriglia fortunatamente solo verbale, ma, rilevarne un aspetto singolare che la rende contestabile alla radice: nella nostra infinita arroganza intellettuale riteniamo di poterci sostituire noi agli Ucraini dimenticando il piccolo particolare che ad arrendersi dovrebbero essere loro visto che sono loro a combattere e che sono loro a chiedere le armi.

Ma allora chi siamo noi (come disse Papa Francesco a proposito del giudizio sui gay) per sostituirci a chi combatte, a chi viene ferito, a chi muore, e arrivare addirittura a dire che si devono arrendere e che non devono più ricevere le armi? Allora, che Landini, la professoressa De Cesare, il dottor Cisterna si rivolgano ai combattenti ucraini, gli suggeriscano di arrendersi e vediamo quale sarà la loro risposta. Veniamo alle minacce rivolte all’Italia e all’attacco ad personam nei confronti del ministro Guerini, cosa assai singolare visti gli usi della diplomazia, ma l’ambasciatore russo Razov nella sua infinita arroganza non ci sorprende: egli è arrivato a inviare una lettera minatoria ai deputati della commissione difesa senza ancora aver ricevuto la risposta che si meriterebbe da parte della Presidenza della Camera. Ma gli attacchi all’Italia e a Guerini vanno collocati nel loro contesto generale. Nel corso di tutti questi anni c’è stato un autentico sistema-Putin fondato sugli oligarchi e su una rete di interessi, di affari, di tangenti in Germania, in Francia, in Svizzera, in Gran Bretagna, in Italia e in altri Paesi. Addirittura, in Germania, tramite Schroeder che si è totalmente venduto, e in Italia Merkel e Berlusconi hanno contribuito a costruire un sistema che ha messo la politica energetica dei due Paesi in mano alla Russia: qualcosa di molto peggio di un errore. L’Espresso e Iacoboni e Paolucci nel libro Gli Oligarchi hanno descritto il sistema-Putin in Italia. Ma su questo c’è stato un colossale equivoco fra le due parti: tutti gli amici politici, statuali ed economici di Putin (in Italia il Partito Russo è presente alla Farnesina, nei servizi, dentro Leonardo, dentro Banca Intesa, dentro l’Enel) contavano però su una sua politica estera di tipo moderato e collaborativo per cui adesso sono in grande difficoltà di fronte alla sue aggressioni a mano armata.

A sua volta Putin, che è insieme un ideologo, un dittatore estremista ma anche uno spregiudicato uomo del KGB, ha presunto che con quella rete di affari, di business, di tangenti, aveva anche costruito una rete di complicità politiche che lo avrebbero “coperto” nel momento in cui egli avesse proseguito nella sua escalation a mano armata. Putin si aspettava che i suoi amici negli USA e in Europa gli avrebbero fatto da sponda anche in questa occasione. Non si è reso conto che avendo esagerato ha messo tutti in gravissima difficoltà. In più negli USA non c’è più Trump ma Biden. E gli stessi Repubblicani, quale che sia il loro rapporto con Trump, non possono più fargli da sponda. In Europa in prima linea ci sono proprio gli Stati del Patto di Visegrad e non solo la Francia di Macron, la Germania di Scholz che è cosa diversa dalla Merkel e l’Italia di Draghi. Quanto alla Italia, non appena Putin ha invaso l’Ucraina Draghi ha assunto una netta posizione di solidarietà occidentale. Per di più da un lato Enrico Letta, dall’altro lato Giorgia Meloni, hanno reagito con grande prontezza di riflessi collocandosi ai due poli (quello democratico e quello conservatore repubblicano) dello schieramento occidentale. Poi con loro si sono schierati Renzi, Calenda, Bonino, i centristi del centrodestra.

In un contesto di questo tipo è davvero dura per Salvini, Berlusconi e a sinistra Landini, fare da sponda a Putin. Infine, quanto alla evocazione fatta dal ministero degli esteri russo, a proposito dei pretesi aiuti all’Italia siamo sul filo del grottesco. Nel 2020 arrivò in Italia una singolare brigata militare, con pochissimi sanitari, guidata da alti ufficiali provenienti dal teatro siriano che per circa un mese girarono per l’Italia del Nord mettendo in grave imbarazzo tutti coloro che nel nostro Paese ne curano la sicurezza: fu più una operazione militare spionistica che non certamente una operazione militare, la cui principale responsabilità fu dell’allora presidente Conte. Non si capisce se la sua evocazione sia una gaffe o un nervoso richiamo perché finalmente “gli amici” si facciano sentire.