I Cinque Stelle ci hanno abituato ad un modello di politica che non contempla il silenzio o la prudenza come metodi di comunicazione. In questi anni, prima e dopo il loro ingresso in un Parlamento che un tempo definivano “scatoletta di tonno” da aprire, li abbiamo visti manifestare in ogni dove e parlare su qualsiasi cosa: nelle piazze con i “vaffa”, negli streaming delle riunioni della prima ora (poi lasciati alle spalle come tante altre buone pratiche), sui terrazzi di Montecitorio, sui balconi di Palazzo Chigi, nelle aule parlamentari. Sicuri della loro superiorità morale e trionfanti per ogni cosa fatta, anche e soprattutto per quelle fatte male.

Hanno delegittimato gli avversari, annunciato l’abolizione della povertà, chiesto l’impeachment del Presidente della Repubblica, minacciato rivoluzioni mai portate a termine e imposto le loro regole al confronto democratico tra maggioranza e opposizioni. Soprattutto, hanno sempre avuto un’opinione su qualunque cosa. E siccome, avendo un’opinione su tutto, volevano dirla. Ricordo che quando erano all’opposizione non facevano altro che denunciare censure e boicottaggi ai loro danni, e pretendevano inviti nei salotti tv senza contraddittorio. Non perché avessero paura di confrontarsi, figuriamoci. Ma perché avevano tante cose da dire.

E invece sul referendum per la riduzione dei parlamentari, la strategia grillina è cambiata. Silenzio. Eppure il taglio di deputati e senatori è forse il vessillo più alto della retorica anticasta che tanto ha contribuito al successo del movimento, anche se non sono mancate le voci discordanti. Ricordo, per esempio, nel 2016 un Toninelli scatenato che diceva che non si può abbattere la democrazia per risparmiare il costo di un caffè. Poi ha cambiato opinione.
Proprio perché un loro vessillo, coronato da una fragorosa vittoria parlamentare, dovremmo sentire il frastuono delle ragioni grilline urbi et orbi nelle tv, nelle radio, sui giornali, sui social, ovunque. E invece il tema del referendum è in sordina. Per la prima volta i Cinque Stelle silenziano se stessi.

Le ragioni non ci sono note, ma non è difficile immaginarle: senza che le televisioni ne parlassero granché e senza che su questo tema ci fosse un vero dibattito pubblico, la percentuale dei favorevoli al taglio è scesa drasticamente negli ultimi mesi. La crescita del No, come dimostrano gli ultimi sondaggi pubblicabili, avrebbe meritato una maggiore attenzione dei mass media, che invece di dare voce a quest’onda crescente hanno preferito quasi tutti adeguarsi alla strategia del Movimento 5 Stelle. Non c’è interesse a parlare del referendum, sicuramente per non mobilitare ulteriormente le ragioni del No, che comunque si mobilitano benissimo, perché sono sensate.

Latitano, invece, quelle del . E infatti non si sentono, se non per qualche bofonchiata dichiarazione sulla riduzione dei costi (irrisorio, ormai lo hanno capito anche i sassi, a fronte della vera perdita di rappresentanza che i cittadini subirebbero se vincesse il SÌ). Le ragioni del Sì al taglio non esistono e, sospetto, neanche la voglia di tagliare da parte dei grandi propalatori di questa misura: i grillini, appunto. Va a finire che se vince il No, il regalo più grande sarà proprio a loro, che alla fine così convinti non sono. Molti parlamentari a 5 Stelle (autoproclamatisi a suo tempo portavoce dei cittadini) sanno bene che, fra taglio e perdita di consenso del movimento, non tornerebbero in Parlamento.

Quindi, per ricapitolare: è un peccato che un referendum che va a toccare il cuore della nostra democrazia passi in sordina e si perda così l’occasione di un vero dibattito sul senso della politica e della democrazia rappresentativa. Questo dovrebbe preoccupare tutti i cittadini che hanno a cuore il valore del confronto libero e plurale e che dovrebbero poter «prima conoscere, poi discutere, poi deliberare» come insegnava Luigi Einaudi. Sarebbe bello, nel poco tempo che ci separa da qui al voto di domenica e lunedì, che i leader del fronte del Sì e del fronte del No potessero confrontarsi davanti ai cittadini.

Sarebbe bello, ad esempio, che Di Maio spiegasse perché nel 2016 erano contro il taglio dei parlamentari e a favore del taglio degli stipendi mentre adesso non tagliano gli stipendi ma vogliono tagliare i parlamentari. Ma soprattutto sarebbe bello che ci ricordassimo che alla fine questo taglio dei parlamentari rischia di essere l’ultima vittoria dei grandi sconfitti, e cioè di coloro che hanno sconfessato se stessi mille volte prima di dover prendere atto di essersi fatti strumento di un’idea politica impraticabile, oltre che dannosa. E che ora devono raccogliere i frutti amari della loro sconsiderata utopia. Benvenuti fra noi, 5 Stelle: questa presa d’atto, che vi rende uguali a tutti gli altri, alla fine è una buona notizia. Adesso però mandiamoli a casa, il 20 e 21. Votando no, si può.