Il professore Giuseppe Conte che annuncia il suo impegno per “scongiurare che non si creino soglie di impunità”: nel solito, inutile sforzo per sviluppare in modo annotabile le parole che gli si ingarbugliano nel gozzo, è ovvio che voleva dire “per scongiurare che si creino”. E l’intendimento è lo stesso che con più nitore ma identico stampo demagogico-forcaiolo professa il segretario del Pd, Enrico Letta, il quale giusto qualche giorno fa rivendicava il dovere del suo partito di non concedere nulla al maligno genuino del Paese, l’impunitismo.

Guardare dall’altra parte, e cioè a destra (sempre che il neo-mezzo-capo dei 5Stelle non sia già destra di suo), significa rimirare allo specchio la medesima impostazione: se là occorre impedire l’impunità, qui occorre assicurare che si punisca, che sono due modi per dire esattamente la stessa cosa. Non so se è abbastanza per concludere che se due parti dicono la stessa cosa, per quanto con differente grado di grammaticatura, allora sono la stessa cosa: ma sicuramente è abbastanza per dire che l’abolizionismo carcerario di noi pochi infelici incontra a destra e a manca ragioni di resistenza assai simili.

Riaffermare, o anche solo insinuare, il principio che a urtare le fondamenta civili è lo stesso concetto di “pena”, risuona semplicemente a mo’ di bestemmia se da una parte e dall’altra ci si impegna senza perplessità in quell’apostolato della primazia punitiva, e del presunto dovere politico di scongiurarne non si dice la revoca ma persino l’attenuazione. Punire o evitare che non si punisca disegnano il perimetro esclusivo in cui si consorziano due concezioni perfettamente fungibili: l’una e l’altra, appunto, associate a escludere l’ipotesi alternativa, e cioè che “punire” non bisogna mai, punire non bisogna nessuno, perché punire è sempre ingiusto.