Il ritratto del leader del Carroccio
Salvini dismette felpa e nutella e torna il timido e disponibile consigliere comunale di 30 anni fa
«Ci pensa lei o dobbiamo chiamare Salvini?». Lo stupore nei miei occhi e su tutta la faccia non aveva fatto desistere l’interlocutore. Né lui e la sua collega si erano lasciati intimidire dalla mia grinta, dal mio moto d’orgoglio: provvedo io. Perché io ero assessore, e Matteo Salvini un semplice consigliere comunale. Se qualcuno pensa che Matteo sia entrato in politica con il passo veloce del bersagliere, con il petto gonfio e la lingua svelta nel grido di Roma ladrona, non ha proprio capito nulla della persona. Intanto perché, quando è stato eletto per la prima volta al Consiglio comunale di Milano era il 1993 e lui aveva esattamente vent’anni.
E in quegli anni non si era intellettualini verbosi come quelli del sessantotto e neanche creativi trasgressivi e a volte violenti come nel settantasette. Forse i ragazzi degli anni novanta, come del resto quelli di oggi, non avevano neanche tanta voglia di impegnarsi in politica. Lui sì, e quando mi si parò davanti mi era sembrato di vedere semplicemente un ventenne molto simile a quelli dei miei vent’anni. Ragazzi di buona famiglia, molto educati, qualcuno un po’ timido davanti alle ragazze. Lui era così, e non si era fatto particolarmente notare, all’inizio. Era entrato a Palazzo Marino con la prima vittoria della Lega e l’elezione a sindaco di Marco Formentini. Una vera svolta per la città di Milano, dove i socialisti avevano in gran parte governato con il Pci ma anche con la Dc, secondo una ben consolidata politica dei due forni. La Lega era già presente con un piccolo drappello di consiglieri guidati da Umberto Bossi.
Matteo Salvini non aveva provato l’emozione della lotta politica dell’opposizione, era entrato subito in maggioranza, in una Milano che la stampa ormai chiamava “tangentopoli”, la città delle mazzette, con l’intera sinistra distrutta. Ma in poco tempo il ventenne timidino era diventato colui che risolveva i problemi, il bravo consigliere comunale vicino ai cittadini. Così quel giorno in cui mi ero ritrovata per caso in una farmacia sconosciuta e lontana da casa, i due farmacisti, una donna e un uomo, mi avevano chiesto con garbo se avessero potuto sottopormi un problema. Ricordavano che ero stata assessore alle politiche sociali con il sindaco Albertini, anche se ormai mi occupavo di impresa e commercio con Letizia Moratti. Il problema era questo: un clochard aveva preso l’abitudine di accovacciarsi sul marciapiede davanti alla farmacia con il suo fiasco di vino, poi si addormentava non prima di aver però vomitato tutto quel che aveva bevuto e il poco che aveva mangiato.
Erano venuti i vigili ad allontanarlo, ma lui era tornato. I clienti della farmacia erano a disagio, si poteva fare qualcosa senza dover ricorrere alla polizia? “Ci pensa lei o dobbiamo chiamare Salvini?”, mi avevano chiesto, quasi mettendomi alla prova. Naturalmente ho risolto io, come avevo sempre fatto. Ma Matteo avrebbe probabilmente fatto lo stesso, pur da semplice consigliere comunale. Perché è sempre stato un “problem solver”, uno che sa occuparsi degli altri e come farlo. So che questa immagine di “Salvini in culla” pare stridere con quella dello sbruffone in felpa che mangia nutella. Pare, appunto. Perché può sembrare uno che guarda solo il proprio ombelico, ma non è così. Ho anche avuto occasione, in quegli anni a Palazzo Marino, di avere come mia addetta stampa Fabrizia, una brava giornalista che era anche la ex moglie di Matteo e la mamma del loro bambino, il primo figlio di Salvini.
Il bambino era piccolo e il calendario di lavoro del mio assessorato andava calibrato anche sulle esigenze familiari di Fabrizia. Mai una volta l’ho sentita lamentarsi o recriminare per l’assenza o la disattenzione del papà del bambino. Mai l’ho vista scappare via di corsa (come capita a tante) perché lui, che era parlamentare, avesse mancato a un appuntamento o a un impegno con suo figlio. Ecco il Matteo che ho conosciuto. Era così davvero. È così davvero. E il Salvini che vedo oggi, non so perché, mi ricorda molto quello dell’altro ieri, quello “in culla”, e meno quello di ieri.
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