Nella storia della Repubblica il termine “manina” fu sdoganato da Bettino Craxi all’indomani del secondo ritrovamento del Memoriale Moro, un affaire che di lì a poco avrebbe fatto scoppiare una delle più gravi crisi istituzionali portando alle dimissioni il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Ieri a Montecitorio il termine ha fatto capolino di nuovo, procurando un brivido ai cronisti più anziani. «[Al governo] si verificano delle manine che cancellano delle norme».

Non tragga in inganno l’italiano “colloquiale, perché la voce appartiene a uno di quelli che conta, nel Governo e nel Movimento 5 Stelle. La voce è quella di Marcello Minenna, direttore della Agenzia Dogane e Monopoli. La frase che Minenna mette a verbale non è un retroscena ma una precisa accusa fatta in un’occasione ufficiale, la sua audizione in Commissione Finanze tenutasi appunto ieri. Il responsabile delle Dogane si riferisce al maxi-regalo fiscale che i governi Conte 1 e 2 hanno concesso alla multinazionale del tabacco Philip Morris.

E se nella prima Repubblica “le manine” facevano sparire segreti di Stato imbarazzanti, in questa melassa di regime che non osiamo chiamare né seconda né terza repubblica, le manine fanno sparire leggi che valgono centinaia di milioni. Minenna sta parlando della sparizione, denunciata dal Riformista venerdì scorso, di una norma dalla bozza della legge di bilancio. L’oggetto era l’aumento della tassazione sul tabacco riscaldato, prodotto di Philip Morris, che come d’incanto si dissolve nel passaggio dal Governo a Montecitorio con un risparmio netto per la multinazionale di svariati milioni. Incalzato dal deputato Raffaele Trano, ex-presidente della Commissione Finanze, commercialista di professione e anima cheta che alla bisogna diventa mastino, Minenna ieri non si è tirato indietro. «Sono un servitore dello Stato… sulle norme che entrano e scompaiono dalle leggi c’è agli atti del Senato un mio documento. Ho rivelato che si verificano delle manine che cancellano delle norme».

A quel punto le chat dei parlamentari M5S, e non solo, iniziano a bollire. Tutti sanno che Minenna si sta riferendo a Laura Castelli, vice-ministro al Mef. Quello che rimane sullo sfondo, in tutta questa vicenda è il ruolo di Giuseppe Conte e del ministro dell’Economia Gualtieri. È pensabile che su un tema così rilevante, diventato politicamente incandescente, i vertici del governo nulla sapessero?
Davvero Laura Castelli è in grado di imporre all’intero governo uno sconto fiscale di centinaia di milioni di euro l’anno alla multinazionale del tabacco mentre l’Italia è piegata dal Covid e dalla conseguente crisi economica? Le “manine” di cui parla Marcello Minenna sono solo quelle del vice-ministro?

7 luglio, una giornata particolare

C’è un giorno che a Palazzo Chigi non è stato dimenticato. Era il 7 luglio 2020 e non fu proprio un giorno facile per Giuseppe Conte. A detta di chi quel giorno era presente furono le tre ore tra le più “faticose” del suo impegno politico. Il termine deriva da una serie di “stranezze”, tre per l’esattezza: la durata, l’inesistenza di una traccia documentale che attesti gli argomenti trattati, la mancanza di testimoni. «Tutte circostanze che non si sono mai verificate nel corso della Presidenza Conte», racconta al Riformista un dirigente di lungo corso di Palazzo Chigi. Conte tenne per sé anche gli appunti presi durante il lungo colloquio, senza consegnarli come da prassi al suo ufficio di gabinetto.
Un incontro rimasto praticamente segreto. Fino a poche ore prima Palazzo Chigi negava addirittura che si sarebbe tenuto. All’uscita Casaleggio fu di poche parole. “Ho presentato il piano elaborato dall’associazione Gianroberto Casaleggio”. Avete parlato di regionali? “Anche”. La partita si chiuse lì.

«A che titolo Davide incontra Conte? Se fa solo il tecnico per il Movimento perché parla di alleanze?». Queste le reazioni all’interno del Movimento. C’è però una coincidenza, in questa storia di “manine”, articoli della finanziaria che saltano, contratti milionari e summit incomprensibili. In quegli stessi giorni, tra la fine di giugno e l’inizio di luglio decine di deputati – Trano, per esempio, ma anche Fioramonti, Rossella Muroni e Fassina di Leu, parlamentari di Fratelli d’Italia e del Movimento, avevano presentato per la seconda volta una serie di emendamenti al Decreto legge Rilancio con un preciso obiettivo: innalzare la tassazione per i prodotti di Philip Morris, il cliente di Davide Casaleggio, con l’obiettivo di creare un fondo per i malati cronici che in tempo di Covid hanno bisogno di cure domiciliari.

Il 7 luglio, proprio il giorno in cui Casaleggio si trovava a Chigi, il decreto legge venne licenziato dalle commissioni. Il 9 approdò nell’aula di Montecitorio. Degli emendamenti per i malati che alzavano le tasse a Philip Morris non c’era più traccia: il governo li aveva cassati tutti. La Camera approvò. Qualcuno tirò un sospiro di sollievo. Non ci sono prove che in quell’incontro si parlò anche di affari. Rimane un dato ineliminabile: la segretezza totale che ancora oggi avvolge quell’incontro tra un presidente del Consiglio e il capo di un’azienda privata. Il giallo su quali e quante siano le “manine” sporche di tabacco sposta il suo set: da Milano a Palazzo Chigi.