La conoscenza della nota mafia “laziale” ha giocato a favore di Michele Prestipino. Nella delibera con cui il Consiglio superiore della magistratura ha dato mandato all’Avvocatura dello Stato di opporsi al ricorso presentato dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, si punta molto sulla “peculiarità” criminale romana.
Dopo l’annullamento del voto a favore del procuratore generale di Firenze Marcello Viola, la Commissione per gli incarichi direttivi aveva disposto che per scegliere il nuovo procuratore di Roma si procedesse ad una nuova votazione. Due voti erano andati a Lo Voi, un voto al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e un voto a Prestipino, allora aggiunto nella Capitale e molto legato a Giuseppe Pignatone.
Il Plenum, nella seduta del 4 marzo 2020, approvava a maggioranza la proposta formulata in favore di Prestipino. Sia Viola che Lo Voi, non accettando la decisione del Csm, si erano rivolti al giudice amministrativo. Il Tar aveva dato ragione ad entrambi. Nel ricorso Lo Voi aveva sottolineato «il positivo esercizio di funzioni direttive specifiche rispetto al posto messo a concorso», mentre Prestipino «poteva vantare solo l’esercizio di funzioni semidirettive», ricordando inoltre di essere a capo di «una delle Procure di grandi dimensioni più complesse d’Italia, per di più caratterizzata dalla rilevante presenza di varie organizzazioni criminali, specie di stampo mafioso». Il Csm, in pratica, aveva sottovalutato il percorso professionale di Lo Voi e sovrastimato le esperienze di Prestipino. Lo Voi aveva fatto presente di lavorare in «una delle zone del paese che può vantare un triste primato di pervasività del fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso».
«La specificità “criminale” della regione Lazio non sarebbe in grado di superare l’eccezionale esperienza di Lo Voi di contrasto alla criminalità organizzata siciliana – con ramificazioni a livello internazionale – perfezionata sia nello svolgimento delle funzioni direttive (avendo assunto il coordinamento della Dda di Palermo) sia a livello di funzioni requirenti nei vari gradi di giurisdizione ed in ambito sovranazionale», si poteva leggere nel ricorso. «D’altronde la mafia siciliana presenta interazioni con altre organizzazioni mafiose presenti sul territorio nazionale e all’estero, nonché rapporti con il mondo politico, le istituzioni centrali e l’imprenditoria che caratterizzerebbero la specificità del territorio capitolino», aveva ricordato Lo Voi.
Il procuratore di Palermo, però, non aveva fatto i conti, in particolare, con Massimo Carminati da Sacrofano, Salvatore Buzzi da Rocca Cencia e, soprattutto, con la testata di Roberto Spada al giornalista Daniele Pervicenzi. Questi criminali avevano permesso a Prestipino, come scrive il Csm, di acquisire «una straordinaria conoscenza delle dinamiche del tutto peculiari proprie della criminalità organizzata laziale, conseguendo rilevantissimi risultati investigativi e processuali». Le mafie tradizionali «nella realtà romana coesistono e convivono tra loro, nonché con organizzazioni criminali autoctone, capaci di infiltrarsi nel tessuto economico, sociale e istituzionale, come svelato dalle indagini svolte nei numerosi e complessi procedimenti e condotte anche in collegamento con altre Procure italiane», l’arzigogolata risposta del Csm al ricorso di Lo Voi.
Prestipino, in conclusione, era stato «ritenuto prevalente sia perché in possesso di una più duratura, variegata, e, quindi, pregnante, esperienza nel contrasto alla criminalità mafiosa, sia perché l’arricchimento del suo profilo professionale, maturato nell’azione di contrasto alle organizzazioni criminali, nuove ed originali, che operano sul territorio laziale, lo rende più idoneo a soddisfare le peculiari esigenze della Procura di Roma».
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