Da quando le truppe russe hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, a livello internazionale si è parlato molto di una “svolta dell’era” e di un “cambiamento di paradigma”. In Italia il dibattito sulla guerra ha preso una strana piega che mi sconcerta e che, trascendendo anche dalle dolorose e drammatiche e criminali vicende cui assistiamo ogni giorno, sta cercando di mettere in campo un ennesimo confronto all’italiana, una sorta di derby tra tifoserie, tra chi sostiene il pacifismo e la nonviolenza e chi contempla la necessità di resistere all’invasione con l’uso delle armi. Nel concreto le due strade portano nel primo caso a privilegiare la diplomazia e l’aiuto alla popolazione civile in viveri, vestiti, medicine, strumenti sanitari, scolastici, di mobilità e per coloro che sono costretti ad abbandonare casa, paesi e città l’accoglienza, nel secondo si pensa che sia prioritario oltre che gli aiuti civili, fornire agli ucraini le armi per difendersi.

Appartenendo alla schiera dei pacifisti per storia e convinzioni respingo come infamante l’accusa di codardia che ogni tanto emerge nel dibattito: non c’è bisogno di dire come un mantra che si sta senza se e senza ma con gli ucraini, perché penso che sia nella logica delle persone normali, di spirito umanitario e un poco libertario sapere con chi stare, del resto i pacifisti lo hanno dimostrato con atti concreti organizzando la carovana della pace in Ucraina e portando in Italia dei bambini disabili. Questa guerra, per come si è scatenata e per come si sta svolgendo, obbliga il movimento per la pace, a cui mi sento profondamente legato, ad aprire una profonda discussione sulla necessità di cambiare le sue posizioni tradizionali di fronte a questa brutale esplosione di violenza, di forza, di mezzi introdotti e alla violazione del diritto internazionale. Se si vuole essere efficaci è necessario continuare in modo pressante e permanente a concentrare l’attenzione, l’azione e l’iniziativa sul disarmo e sulle azioni di gestione dei conflitti, poiché nel mondo le guerre sono molte diffuse e oltre alla popolazione ucraina ci sono altre popolazioni che soffrono le stesse condizioni di sofferenza.

Inoltre, va rivendicata una politica estera su basi di politica di pace e che si occupi con grande attenzione e vicinanza della gestione dei conflitti civili e militari al fine di evidenziare quali possano essere le azioni da mettere in campo al di là della deterrenza e dell’uso delle armi. Si deve sviluppare una riflessione diffusa e approfondita sull’uso delle sanzioni e di come devono essere gestite. In una situazione come quella che viviamo esse sono necessarie ed è stato utile che l’Italia abbia aderito, ma continuo a pensare che sia contraddittorio fornire armi agli ucraini per difendersi dalle armi che Putin acquista o costruisce usando i soldi che riceve dal gas e dalle materie prime che ci vende. Mi rendo conto che intervenire su questo terreno può avere pesanti ricadute sulla nostra economia e in particolare su certi settori industriali e pertanto su lavoro, occupazione e redditi. La libertà ucraina, il suo diritto all’autodeterminazione può richiederci di affrontare un periodo di austerità e di sacrifici che occorre spiegare bene alla popolazione italiana. Tarantelli ci diceva che se alla gente si spiegano i fini che si perseguono, alla fine capisce sempre. Comunque, le sanzioni restano uno strumento efficace e proporzionato per condizionare l’aggressore e imporre un ritorno alla diplomazia e al diritto internazionale, e bisogna accentuarne la estensione.

Da troppe parti si parla di riarmo e di aumento della spesa militare, ecco perché serve che esista una voce chiara che mostri alternative alla violenza diverse dalle logiche prevalenti. Bisogna avere una attenzione diffusa al diritto internazionale che non può più essere lasciato agli esperti, ma deve diventare patrimonio comune di tutti. Si è sempre insistito sul fatto che il diritto internazionale è lo strumento chiave per mantenere la pace, e ciò era corretto, ma restare alle dichiarazioni è insufficiente. Occorre piuttosto promuovere una visione comune del diritto internazionale, anche per porre un limite al razzismo, ai respingimenti degli immigrati e per tornare pensarsi come appartenenti a un comune destino, percezione che può avvantaggiarci sul terreno della tutela del pianeta terra. Serve una politica internazionale che rilanci il ruolo dell’Onu e della Corte penale internazionale. Un obiettivo che va perseguito anche in contrasto con i paesi come la Cina (che non ha aderito alla Corte), gli Stati Uniti e la Russia che hanno ritirato le loro firme dal suo statuto.

Inoltre, bisogna superare il diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Russia, Cina, Usa, Gran Bretagna e Francia, e restituire all’Onu il suo ruolo fondativo che secondo la Carta delle Nazioni Unite «ha la principale responsabilità del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale». I diritti umani sono parte integrante del diritto internazionale e quindi devono essere svincolati dalla sovranità degli stati e non possono essere utilizzati per sostenere la guerra come mezzo per farli rispettare. La guerra è in se stessa una violazione dei diritti umani, la cui difesa non può avvenire militarmente ma attraverso la gestione civile dei conflitti, il rafforzamento della società civile e il sostegno delle forze democratiche in ogni parte del mondo. Sono convinto che le guerre vanno prevenute e non vinte. Bisogna fare ogni sforzo diplomatico e definire dei chiari compromessi per evitare che la guerra ucraina deflagri in una guerra tra Nato e Russia che sarebbe una catastrofe per tutta l’Europa, anche senza l’uso delle armi nucleari.

L’abolizione delle armi nucleari deve tornare nell’agenda politica e diplomatica, perché non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare. È una necessità, se vogliamo ottenere una democratizzazione delle relazioni internazionali. La guerra in Ucraina si combatte anche sul piano dei simboli e questo richiede la messa in campo di una simbologia alternativa all’uso delle armi, che oggi tende a predominare e a far passare in secondo piano le sofferenze, i feriti, le distruzioni che le armi provocano. Ecco perché ritengo importante la presenza di un movimento pacifista e di continue manifestazioni a favore della pace. Mantenere in campo una simbologia diversa a quella dell’efficacia delle armi è utile e necessario anche per il nostro futuro. A prima vista sembrerebbe che questa non sia altro che la voglia di glorificare una debolezza che in diversi ritengono ispirata dalla paura o dall’indifferenza verso la sorte degli ucraini, ma credo che sebbene difficile poter incidere sull’attuale accadere storico. Il Pacifismo e la persone pacifiche hanno oggi il grande compito di combattere la logica prevalente, di mantenere aperto “il possibile” e il “diverso”. Rispetto all’accadere storico il pacifismo dispone della debole forza dell’avvenire e dell’umano che seppure oggi non basta, vista la sproporzione delle forze in campo, a cambiare il corso degli avvenimenti, mantiene vivo e radicato un progetto di umanità e contribuisce a trattenere il debordare della violenza e della prevaricazione.