Stiamo scivolando in un gorgo, che ci trascina sul fondo. E lo dobbiamo ad un uomo, ad un uomo solo con la sua rabbia, nel suo delirio di onnipotenza, impregnato di nazionalismo, che si antepone alla storia, alla ragionevolezza, al diritto, nei primi anni di un nuovo secolo, che è l’inizio di un nuovo millennio. È già accaduto cento anni fa, ci sono delle similitudini, ma non le stesse condizioni. Allora, un altro uomo, di umili origini, con un’infanzia difficile, proprio come il Presidente della Russia di oggi, in un paese sconfitto e umiliato, diceva: «Il parlamento va eliminato, la democrazia è una sciocchezza, occorre creare un movimento di massa e cancellare gli avversari…fino al momento in cui i loro nervi crolleranno e noi vinceremo». Era il discorso su la Repubblica nata sul furto (la Germania) e lui era Hitler nel 1922. Benché in un confronto impossibile, tuttavia, siamo difronte al raccapricciante antefatto di Putin nel 2022.

Cento anni dopo, bisogna evitare che la storia si ripeta, nel rischio di una catastrofe incalcolabile, che già vede migliaia di morti nel cuore dell’Europa, ma come?
Allora, si sottovalutò la minaccia. Non possiamo permetterci di farlo oggi. Siamo sotto attacco. Putin sta sparando sull’Europa, sui cittadini europei, su quello che siamo e che rappresentiamo. Ed alza la posta. Ai suoi occhi siamo deboli, anzi debosciati per i nostri costumi. Parolai, perché con le parole ci confrontiamo nelle istituzioni democratiche. Inconcludenti, dal momento che la libera stampa può dire tutto e il contrario di tutto. Vigliacchi, perché ci imboschiamo sui sofà, invece di schierarci a difesa dei nostri sogni. Ci provoca, con la minaccia dell’atomica, ci sbalordisce, lanciando l’idea improvvisa di un nuovo mercato finanziario con lo yuan cinese (vale un sesto dell’euro) che dovrebbe sostituire il dollaro.

Nelle nostre giornate occidentali, mentre le bombe russe in Ucraina continuano a fare morti ed hanno già colpito un obiettivo a pochi chilometri da una città d’arte e di storia come Leopoli, non distante dalla Polonia, continuiamo a dibattere di ragioni e di torti. Stiamo seguendo con il fiato sospeso un negoziato voluto dagli americani a Roma con la Cina, addirittura in un hotel e non in una qualsivoglia sede istituzionale della capitale, che ne ha di abbondanza, perché ci porta una suggestione: è comunque un incontro di alto livello tra due superpotenze, dove la Russia resta oggetto. Forse non servirà, forse si aprirà uno spiraglio, tuttavia arriva dopo gli incontri sino-americani dell’ottobre scorso, ed è un passo. Potrebbe essere l’inizio di una dialettica preziosa anche su altri scenari.

Nel senso d’impotenza che ci attanaglia, ci arrampichiamo sulle analisi di contesto e sugli esiti possibili di una guerra inattesa, iniqua come ogni guerra, appellandoci al buon senso, che scoraggia un sostegno militare ad un popolo sotto attacco, che sta morendo, perché l’alternativa sarebbe un conflitto nucleare. L’Europa si propone finalmente compatta, come non lo era mai stata. Le piazze delle sue città sono piene di bandiere e di voci che chiedono la Pace. Ma, nella sostanza, come si fa a chiedere una trattativa a chi non vuole trattare? Non si possono dispiegare azioni di intelligence, che rivelano un disegno criminoso, ben oltre i confini dell’Ucraina in macerie, confidando solo su sanzioni economiche, che quand’anche portassero la Russia al default, così come già accaduto nel 1991, lascerebbero senza risposta la domanda del cessate il fuoco. Putin continua a dettare il gioco. Rilancia sul possibile uso di armi chimiche. Annuncia l’ingaggio dei peggiori tagliagole, in arrivo a migliaia dal Medioriente e dalla Cecenia. (Purtroppo sappiamo, che oltre alla morte nelle vie delle città ucraine, avranno il lasciapassare russo anche per attacchi, magari terroristici, in Europa) Arriva allo scherno cibernetico, che dopo attacchi continui – le cosiddette operazioni di ransomware, (ricatto) cominciate già nel 2014 – distorcono la realtà, cancellando i dati, introducendo artefatti, mistificando le informazioni.

Appare isolato – è vero- anche nella narrazione della sua immagine, che non si associa mai a niente e a nessuno, diversa perfino da quella degli zar del tempo degli imperi, ma resta al tavolo con le carte coperte, divertendosi a fare il gatto con il topo. Lo racconta apertamente anche un video di propaganda, diffuso da Mosca, che ironizza perfino sui cartoon americani Tom e Jerry, invertendone le parti e con le bandiere russe e ucraine a rovescio. E la provocazione continua spostando il conflitto addirittura nello spazio. La Roscosmos, l’agenzia spaziale di Mosca, minaccia di far cadere la stazione satellitare internazionale sulla testa degli occidentali. Milioni di tonnellate di materiali, alla stregua di un asteroide. Sulla stazione, al momento stanno lavorando insieme quattro americani, un tedesco e due russi. Quale sarà il loro destino? Rimarranno isolati anche nei piccoli spazi di un’astronave? E che fine faranno le tecnologie spaziali per ora comuni, se diventeranno protette nel nome di interessi particolari? Solo propaganda? Oppure contro ogni logica di futuro si va verso la fine delle tante sfide congiunte nel nome della scienza?

Il popolo ucraino, i suoi soldati e il suo presidente Zelensky stanno offrendo a tutti una testimonianza straordinaria di coraggio e di sacrificio. Se non ora, quando dovremmo parlare di eroismo? Si battono per il loro paese e per i nostri valori. E le donne, i bambini, gli anziani sono un esempio. Non hanno nulla da spartire con l’immagina putiniana di “nazisti e drogati”. Eppure, perfino la loro resistenza estrema per noi sta diventando sospetta, in tanti la vivono già con fastidio. Putin che ha dimostrato di aver sottovalutato l’Ucraina, su di noi forse non sbaglia: i nostri valori sono forti solo a parole? Come uscirne. Un passo alla volta. Intanto, sulla strada della coerenza di sostenere un popolo aggredito, in modo incondizionato, sul piano umanitario, come si sta facendo nell’emergenza, pensando anche al domani. Insieme, il dovere di non rimanere inerti dinanzi agli effetti di una possibile capitolazione in una guerra, che sta già avendo un prezzo di sangue smisurato. Inaccettabile. Sul piano politico, ogni possibile sostegno ad una trattativa che esplori qualunque ipotesi negoziabile al livello più alto, il migliore e nello spazio più breve. Nello stesso tempo però, a questo punto, non può che alzarsi la soglia della deterrenza europea, anche militare.

Non ci sono alternative. Bisogna spiegarlo meglio ai popoli, che lo stanno già comprendendo nei paesi baltici, dove è stata potenziata la difesa Nato, ma anche ai nostri, mentre i leader europei ne devono condividere la responsabilità. È l’Europa, che deve giocare questa partita, che si svolge sul suo territorio. Urge il suo protagonismo politico. Anche l’Europa deve diventare un player internazionale e sedersi al tavolo per collaborare allo scopo. Forse non ancora oggi, ma almeno domani. Alla partnership americana, deve affiancarsi l’autonomia. L’Europa, forte dei suoi valori di civiltà, straordinaria per la sua cultura, ineguagliabile per la sua bellezza, aperta all’ innovazione dell’era digitale deve esprimere ora, in modo inequivocabile, anche la volontà di difendere tutto ciò che ha saputo costruire.

Deve farlo con una sola voce, mettendo insieme in una foto di famiglia tutti i suoi capi di stato e di governo, riuniti nei giorni scorsi informalmente a Versailles, quando ci sarà il prossimo vertice europeo di fine marzo. Una nuova Unione, con meno nazionalismo, nel nome degli interessi dei popoli europei, potrebbe cominciare a muovere i suoi passi verso il futuro. È lecito lo scetticismo, ma anche la speranza. Hitler non fu sconfitto dalle parole, ma da un’alleanza militare, nel nome di valori comuni. È l’ultima cosa che possiamo augurarci, oggi, tra le macerie della Storia. Ma non dobbiamo sottovalutare la minaccia dello zar. Tutto, proprio tutto, va fatto subito per evitare il peggio. Senza indugi.