Il professor Paolo Armaroli, che solo pochi mesi fa aveva edito un libro sui rapporti tra il presidente della Repubblica Mattarella e il presidente del Consiglio Conte, aggiorna con un nuovo volume le vicende politiche e costituzionali successive. Disponiamo quindi ora del testo Effetto Draghi. Le metamorfosi di una Repubblica, edito sempre da La Vela, che ci fa rivivere la transizione tra i due esecutivi. La prima parte è scritta ad hoc, mentre la seconda ripercorre gli articoli del prof. Armaroli usciti sulla stampa quotidiana.

Enzo Cheli, costituzionalista e vice-presidente emerito della Corte, è in sostanziale sintonia con la tesi sostenuta da Armaroli. Per Cheli la debolezza del sistema dei partiti ha trovato un limite decisivo nella forza della Costituzione, in particolare nella lettera dell’articolo 92, che dà ampi margini ai due Presidenti nella composizione delle crisi, a partire da quello della Repubblica. Cheli però non segue un approccio ingenuo, non si accontenta della positività dell’esito, difficilmente contestabile, si chiede nel prosieguo delle vicende costituzionali e politiche se la forza della Costituzione contribuirà a riformare il sistema o se, invece, anch’essa verrà travolta dall’eventuale ulteriore indebolimento dei partiti “fino a determinarne il blocco” (p. 14). La problematicità è il tratto essenziale dell’Introduzione di Cheli: pur se a un “sistema politico fragile” fa fronte “una Costituzione forte”, se questa forza risiede nel “forte attivismo dei suoi organi di garanzia”, ciò è una risorsa ma anche un problema (p. 15). Se questo attivismo è permanente, la nozione di garanzia non rischia di coprire troppo? La scelta sostanziale del vertice del Governo, se diventa una caratteristica fissa, è conciliabile con la definizione di garanzia?

Si apre quindi il nodo di nuove regole costituzionali, in cui peraltro anche Cheli si è fruttuosamente esercitato in questi mesi, con l’ipotesi di valorizzare per molte funzioni il Parlamento in seduta comune, a partire da fiducia e sfiducia. Quali soluzioni istituzionali e non solo di volontarismo politico sono quindi necessarie per prevenire la costante richiesta di interventi molto incisivi agli organi di garanzia? I dubbi vengono confermati dalle ricostruzioni puntuali e analitiche del prof. Armaroli, qui non riassumibili perché non sfugge quasi nulla nei rapporti Parlamento-Governo, compreso meritoriamente il ruolo del Comitato per la legislazione nel cercare di ricondurre la legislazione emergenziale in un alveo di fisiologia (pp. 25 e 87). Nelle questioni più importanti Armaroli riconosce il ruolo protagonista del presidente Mattarella, specie nella fase finale dell’incarico a Draghi , “facendo violenza al proprio carattere” (p. 50). Una supplenza necessitata e preterintenzionale, quindi.

Come definire poi il nuovo governo, tra le varie definizioni utilizzate dai commentatori? Armaroli, nell’insufficienza di tutte quelle tradizionali, preferisce definirlo come una “zebra”, ossia “un governo bicolore di tecnici e politici”, vedendo come esempio più simile quello di Ciampi nel 1993 (p. 90), coi partiti distanti tra di loro perché saranno alternativi nella fase successiva Unico punto che mi lascia perplesso è il giudizio di Armaroli secondo cui Conte avrebbe dovuto dimettersi subito dopo il ritiro della delegazione ministeriale di Italia Viva, senza parlamentarizzare la crisi, “come accaduto più frequentemente in passato” (p. 27).

Ovviamente, se ragioniamo in termini deterministici, dobbiamo dare ragione ad Armaroli, il tentativo di parlamentarizzazione si è obiettivamente rivelato velleitario, la maggioranza relativa che aveva fatto superare a Conte il voto di fiducia al Senato aveva bisogno di ulteriori rinforzi che non sono venuti. Siamo però sicuri che il tentativo fosse a priori insensato? Siamo sicuri che in casi analoghi non sia mai opportuna la parlamentarizzazione? Si tratta comunque di giudizi di opportunità su cui occorre riflettere volta per volta.

Armaroli gioca, in sintesi, sin dall’inizio della prima parte sui numeri delle Repubbliche (p. 21), che sono in realtà dei numeri di sistemi di partito. Il primo, quello segnato dall’assenza di alternanza, gli sembra segnato da tante scelte positive ma alla fine da un blocco di sistema; apprezza di più il secondo perché bipolarismo e alternanza dinamizzano la vita politica; del terzo apprezza Draghi ma vede l’incertezza sul futuro. È possibile che il quarto, dopo questa esperienza, renda migliori i principali protagonisti, crei un nuovo bipolarismo con meno difetti, anche ricorrendo ad alcune riforme istituzionali? (pp. 99/103). Armaroli vede l’esigenza, ma come Cheli non è affatto certo dell’esito. Per questo l’interrogativo che riassume la prima parte: “Verso una quarta Repubblica?” (p. 19), coincide perfettamente coi contenuti. Non ci vuole dare certezze, ma solo consapevolezze.