In uno dei capitoli che compaiono nell’antologia della rivista L’erba voglio. Il desiderio dissidente (Derive & Approdi, 2018), scrivevamo di voler avere «un occhio anche di fuori, di lato, sotto il tavolo delle discussioni e dei dibattiti». È quello che vorrei fare dopo aver letto, in questi giorni di forzato isolamento, le interpretazioni e i commenti più diversi sull’epidemia che sta allarmando l’Italia e altri paesi del mondo. Non sono stupita che nella maggior parte delle analisi, filosofiche e sociologiche, la parola “emergenza”, da riferimento specifico al contagio del Covid-19, si sia immediatamente estesa a quella di “crisi”, nel suo significato più generale: crisi della globalizzazione, dell’ambiente e del clima, dell’economia industriale e finanziaria, crisi della vita sociale e della sopravvivenza stessa della specie.
Sul rapporto tra il potere che ha un microscopico virus di attentare alle nostre vite e di immobilizzare la società, e i macropoteri economici e politici che governano le sorti del mondo, si sono concentrate, non a caso, opinioni fortemente contraddittorie. Per Giorgio Agamben le misure di sicurezza adottate sarebbero «irrazionali» e l’epidemia una «invenzione» per restringere libertà e diritti, usare lo stato di eccezione come «paradigma normale di governo».
Per Roberto Ciccarelli il virus avrebbe soltanto “dato forma” a una crisi del capitalismo e delle sue contraddizioni che incubava da tempo. Con immagine efficace Augusto Illuminati aggiunge che l’epidemia si potrebbe leggere come la «concretizzazione naturalistica, la biopolitica terrificante» di una crisi strutturale dei rapporti di produzione e distribuzione. Ma c’è anche chi si pone su un versante opposto e capovolge il paradigma: sarebbe il virus a mettere a dura prova il sistema di sicurezza governativo, oltre a rivelare la vulnerabilità e l’insignificanza della nostra specie.
Scrive Claudio Kulesco: «L’evento pandemico segna pertanto l’apice della crisi del potere, ma anche delle metafisiche antropocentriche e di ogni teologia positiva. Il potere che ci domina e ci controlla, d’altro canto, dimostra appieno di non essere Dio, né il vero emissario del morbo o l’inventore dell’epidemia […] egli è esposto a quest’ultimo quanto noi».
Proverò allora a gettare un ponte tra le domande e letture contraddittorie che attraversano in questo momento privato e pubblico, storie personali e grandi sistemi, tesi minimaliste e catastrofiche, servendomi di frammenti di riflessioni a lato, o a “occhio storto”:
– Non tutte le restrizioni di libertà sono prove di regime, non tutti gli allarmi, per quanto eccessivi, sono infondati, non tutti i pericoli che minacciano il corpo sociale sono “invenzioni” intenzionali di chi vorrebbero stringerlo in una morsa autoritaria;
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