Quanta forza effettiva ha in mano il Berlusconi ragionevole che dispensa lezioni di realismo e moderazione? La nuova discesa in campo del Cavaliere coincide con la caduta di credibilità e di consenso delle altre due formazioni di destra che avevano rosicchiato il suo antico insediamento elettorale. Che questa slavina, travolgendo la destra più estrema, apra anche uno spazio per un federatore che produca una nuova sintesi di governo in astratto è vero ma nello svolgersi reale dei processi politici ogni calcolo diventa più complesso. Deve comunque aver provato una qualche sensazione di rivincita il Cavaliere nel vedere Salvini e Meloni che si precipitavano in fretta sull’Appia antica per rigenerarsi dopo la botta ricevuta. Le immagini dei due sfidanti sovranisti che nelle piazze o nelle dichiarazioni rilasciate dopo le consultazioni al Quirinale esibivano verso di lui forme di sbruffoneria e un fare nei modi irriguardoso lo hanno di sicuro accompagnato lasciando nel suo animo una sottile linea di umiliazione.

I cancelli che si aprono sull’Appia segnano una rivincita per il leader che era stato costretto per farsi notare a esibire le dita della mano e conteggiare dinanzi alle telecamere i punti salienti del programma delle destre a trazione radicale. Finita l’ebbrezza dell’ascesa irresistibile nei consensi, i due capi che si contendono i galloni della destra per non precipitare tornano nella villa del vecchio capo, che si rivela politicamente più longevo di quanto sospettassero gli eredi tra loro rissosi e irriconoscenti. È vero infatti che Lega e Fratelli d’Italia avevano le vele gonfie di schede mentre Forza Italia declinava, ma la loro sensazionale ascesa si sarebbe rivelata impossibile senza la costruzione di un senso comune avvenuta grazie alla vasta copertura dei media. Senza la Gabbia o l’Arena de La 7, la seconda rete e Carta Bianca con l’uomo delle nevi salviniano assoldato come opinionista tuttologo, e soprattutto senza gli accoglienti canali del Biscione i sovranisti avrebbero un patrimonio elettorale ben più modesto.

Lo sfondamento della Lega nel sud, dove non sono avvistati soldati padani come pittoreschi abitanti del territorio, e la cavalcata rapida dei patrioti di Fratelli d’Italia in tutto il paese non sono giustificati da una qualche strutturazione organizzativa e dall’azione capillare di nuove classi dirigenti. Senza il cittadino virtuale delle Tv mai il cittadino reale sarebbe stato raggiunto dal messaggio sovranista recapitato da due personalità alla frenetica ricerca dello scettro.
In un tempo che esalta la cosiddetta celebrity leadership, che vede emergere il politico coperto con le stesse strategie comunicative della star e richiede la continua cura di una visibilità che spetta solo ai personaggi famosi, non bastano i ritrovati aggressivi della Bestia di Morisi, serve un amalgama complesso di media e social per garantire amplificazione e impatto alle strategie di persuasione. Per questo Berlusconi è in credito con i duellanti, nel senso che entrambi i gemelli poco diversi nell’offerta politica devono a lui più di quanto il Cavaliere riceva dai loro servigi. La promessa del loro sostegno per il Quirinale non ripaga certo Berlusconi degli sforzi fatti, poiché si tratta di una investitura solo simbolica che serve più ad alimentare il clima di un risarcimento d’immagine dovuto a un politico sotto torchio che accumula assoluzioni che a tirare per davvero la volata per conquistare il Colle.

Si sa che per entrare al Quirinale bisogna partire molto coperti, cioè stare vigili in seconda o terza fila in attesa che i primi candidati risultino senza fiato e quindi vengano l’un dopo l’altro bruciati. Non si è mai sperimentato un traino molto lungo coronato dal successo, perché arriva al Colle solo chi è capace di schivare agguati, trame, sospetti.
Nella Seconda repubblica la presidenza non ha mai visto premiati dei leader politici di primo piano, o anche dei capi di governo di lungo corso (escluso Ciampi, che però era stato soltanto per alcuni mesi alla guida di un esecutivo per giunta tecnico). Più che salire al Colle Berlusconi pensa a come partecipare alla maggioranza presidenziale, non ne ha mai fatto parte (se non per l’investitura dell’ex governatore della Banca d’Italia e per la conferma in circostanze eccezionali di Napolitano), restando così ai margini delle forze appartenenti allo spazio ristretto della legittimazione.
Ora per Berlusconi e la sua creatura politica che va alla ricerca di un senso e di una funzione le cose sembrano molto cambiate. La sua squadra di governo vede Carfagna, Gelmini e Brunetta crescere nella considerazione come politici abili, comunque rispettati dagli interlocutori. La loro richiesta di consolidare Forza Italia come una autonoma formazione della destra (liberale e responsabile) indica una delle possibili soluzioni all’enigma della istituzionalizzazione di un partito nato come cosa personale-aziendale. L’altra strada è quella di giocare un ruolo semplicemente gregario alle dipendenze dei capi dei due partiti sovranisti che in solitudine dettano l’agenda.

Per quanto Berlusconi dichiari ai due litiganti che spetta solo a lui garantirne in Europa la piena affidabilità sa benissimo che la sua capacità di trattenere e educare gli esuberanti duellanti è molto ridotta. E quindi la istituzionalizzazione della sua invenzione politica di trent’anni fa dipende dalla lettura del ciclo politico, cioè dalla decisione risoluta circa il trattamento da riservare al cosiddetto bipolarismo, che alle comunali è apparentemente rinato (ma solo perché al secondo turno due soltanto sono i candidati che si sfidano per la carica monocratica).
Se è vero che per certi versi il bipolarismo è una costruzione berlusconiana che attorno alla propria figura stabilì le linee della demarcazione tra opposti schieramenti, ora quella accesa contesa di qua o di là appare esangue. Nell’ultimo decennio nessuna investitura elettorale delle maggioranze di governo si è riscontrata, tutti gli esecutivi sono sorti da alchimie parlamentari. Tanto vale allora restituire lo scettro al principe e cioè affidare al conteggio proporzionale dei voti ottenuti da ciascun partito l’assegnazione dei seggi e alla trasparente contrattazione post-elettorale la formazione dei governi.

Quello che Berlusconi deve stabilire per definire le future mosse è se la sua forza conti di più come partner molto minore di una coalizione in cui le destre radicali comandano (e quindi battersi per il congegno maggioritario o la persistenza dell’attuale formula) oppure se sia più produttivo agire come partito autonomo e ormai legittimato a definire maggioranze variabili, che in aula negozia, determina le politiche (e allora insistere per un selettivo dispositivo proporzionale). Il futuro di Forza Italia come partito che si istituzionalizza per durare oltre il capo-fondatore potrebbe somigliare molto a quello dei liberali tedeschi che grazie alla tecnica proporzionale dispongono di una ampia libertà di manovra tra i democristiani e i socialisti.