È buio, è mare, è terra ferma sognata e non ancora avvistata. È paura, è morte che ti bagna il viso mentre speri che si inabissi insieme con le onde del mare che stanno scuotendo la barca sulla quale viaggi. Se penso a un uomo che lascia la sua terra nella disperata speranza di trovarne una più accogliente è questa l’immagine che la mente mi suggerisce. E per un attimo i confini, i decreti, “ordine negativo, non sbarcano”, “ma noi da qui non ci muoviamo, abbiamo donne e bambini a bordo”, “va bene, sbarco selettivo, qualcuno può scendere dalla nave, gli altri no”, “carichi residuali”, frontiere assumono le forme di una enorme follia che pare abbia contagiato tutti. O quasi.

C’è ancora, chi nel nome di Dio, nel nome dell’umana compassione, ma anche nel nome di una qualche legge che ancora resiste sotto i colpi mortali di chi vorrebbe lasciare in mare tutti quelli che non sono nati nella nostra Nazione, parola tanto cara alla premier Giorgia Meloni. È Monsignor Domenico Battaglia, che ha alzato la voce e ha gridato: Napoli sia dichiarata porto sicuro. Sì, Napoli. Perché, vedete, da sempre la nostra città si porta addosso il marchio della contraddizione: Napoli è tutto e niente, è inferno e incanto, è meraviglia e crudeltà, è vita e morte. È mistero e mai certezza, è certezza e mai mistero. Ma se c’è una cosa davvero certa è che Napoli accoglie e non respinge. Mai. Ed è questa la preghiera di Don Mimmo Battaglia: «Chiedo attraverso il Sir (Servizio Informazione Religiosa, ndr), agli amministratori di Napoli che la città possa diventare un “porto franco” per quanti arrivano dalle violenze dei propri Paesi di origine. Un posto in cui poter avere la certezza dello sbarco perché porto sicuro».

Monsignor Battaglia, arcivescovo di Napoli, parlando all’agenzia dei vescovi della sua partecipazione alla manifestazione che si svolgerà oggi al porto di Napoli, intitolata “Fari di pace”, promossa da Pax Christi e da numerose associazioni cattoliche e laiche, ha fatto una richiesta precisa. Non fraintendibile. «Stiamo assistendo alla guerra della spartizione dei profughi, degli immigrati – osserva l’arcivescovo di Napoli –Si parla di ingressi selettivi, perché nessuno li vuole; diventano merce di scambio, perché considerati scarti umani o anche carico residuale da smaltire a ogni costo. Gli Stati europei non si impegnano per gli immigrati, ma litigano, perché non vogliono il peso degli immigrati ed è più facile risolvere la questione rimandandoli a casa loro, perché l’ospitalità risulta più faticosa, più dispendiosa in termini economici e sociali».

Il problema, conclude, è che «non si vuole incrociare i loro occhi, perché la nostra preoccupazione è solo per la nostra sussistenza. Non vogliamo vedere i loro occhi che chiedono solo una vita sicura e felice per il loro futuro. Non sono ladri di posti di lavoro, ma sono uomini e donne che vogliono continuare a sognare, vogliono vedere il cielo aperto per i loro figli». Già, sono uomini non carichi residuali. Farebbe bene a ricordarlo il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. I carichi, riporto testualmente dal vocabolario della lingua italiana, nei trasporti marittimi «sono quelli costituiti da materiali incoerenti; nei trasporti via terra, quelli costituiti da merci non confezionate in pacchi».

Alla voce «carichi residuali» troviamo: materiali incoerenti più o meno utilizzabili. Non sono più uomini, donne, bambini, cuori e anime, sono carichi residuali. Non siamo più umani. E queste poche righe, quasi certamente già dimenticate domani dovrebbe leggerle anche Fulvio Bonavitacola, il vice presidente della Regione Campania, braccio destro del governatore De Luca che sui migranti esordì con un cinismo da far gelare il sangue a chiunque (diplomazia utilizzata per non prendere una querela inutile e temeraria) e disse «c’è da chiedersi come mai ci sono delle navi che periodicamente arrivano. È diventato un servizio di linea quello delle Ong, non un servizio di soccorso. L’Italia non può diventare il terminale di tutti i flussi migratori e stare a guardare». Napoli sì. Fatevene una ragione, far morire la gente in mare, non farli approdare al porto sicuro più vicino è un reato. Lo dice l’Europa, lo dice Papa Francesco, lo dice Monsignor Battaglia, lo grida l’umanità e chi in mare sta morendo. Loro sono umani, non carichi residuali. Fine.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.