«L’accordo tra Conte e Grillo è destinato a fallire nel giro di poco tempo. Il Partito democratico dovrebbe riacquisire una propria identità e lasciar perdere le idee rivoluzionarie. Serve una forza liberal-socialista, ma se a dettare la linea sono Fedez e Travaglio… stiamo freschi». Parola di Giulio Di Donato, ex deputato e vicesegretario del Partito socialista italiano ai tempi di Bettino Craxi, oltre che vicesindaco e assessore comunale di Napoli.

Onorevole, il coordinatore cittadino di Forza Italia Fulvio Martusciello definisce indagati e imputati «rifiuti» ora che Stanislao Lanzotti si appresta a formare una lista civica a sistegno di Gaetano Manfred: cosa ne pensa?
«Non so se questa scelta di campo sia politica, semplicemente opportunistica o dettata solo da incomprensioni personali. Ormai il cambio di casacca è all’ordine del giorno. Per esempio non ho mai capito perchè Forza Italia, modalità Caldoro, abbia salvato il sindaco Luigi de Magistris dal commissariamento. Forse un commissario avrebbe riparato il tunnel della Vittoria, ormai chiuso da settembre scorso. Neppure i rigurgiti di moralismo peloso mi sembrano apprezzabili. Chi sarebbero gli “impresentabili”? È tutto uno scimmiottare il politicamente corretto. Altra questione è candidare delinquenti o aspiranti tali o anche faccendieri incensurati».

Invece che idea ha dell’accordo tra l’ex premier Giuseppe Conte e il fondatore del M5S Beppe Grillo?
«È destinato a fallire non appena prenderanno quota le riforme. Già sulla giustizia siamo allo scontro. La cosa che colpisce che a sostenere Draghi sia “Beppemao” (copyright Dagospia), il “re del vaffa” (con l’ultra-governativo Luigi Di Maio) mentre a contestarlo ci provi il tennista in pochette, l’avvocato dagli lautamente retribuiti, espressione dell’establishment professionale e accademico (vedi il suo mentore Guido Alpa) insieme al descamisado Alessandro Di Battista. Se non si trattasse di cose serie, ci sarebbe da ridere. È una tregua dettata solo dalle elezioni amministrative e dal tentativo di salvare le terga. Vedremo come reggerà in Parlamento l’accordo sulla giustizia raggiunto in Consiglio dei ministri. Se Conte e Alfonso Bonafede presenteranno emendamenti, come hanno detto, per i grillini sarà un Vietnam e per il Pd ci saranno grossi problemi».

Ora che l’accordo con il Pd sembra essere più forte, ci dobbiamo rassegnare a vedere i riformisti fagocitati dal M5S?
«Sulla giustizia e su Draghi, Pd e M5S sono destinati a dividersi. O ci saranno problemi anche per Enrico Letta perché ormai la linea dell’alleanza strategica targata Bettini-Zingaretti è fallita e anche un’alleanza tattica, sostenuta in modo residuale da Letta e altri, è in alto mare. Nel Pd crescono i malumori anche sulla legge Zan dove Letta rischia grosso. Sarebbe stato meglio trovare un’intesa come proposto da Renzi, senza intaccare i fondamentali del provvedimento. Questo avrebbe consigliato la politica. Ma vedo che si preferisce lo scontro. Quindi spero e auspico che nel Pd ci sia resipiscenza. L’interesse del Paese è di poter contare su una sinistra liberal-riformista con una forte sensibilità sociale».

Come si libera, dunque, il Pd dall’abbraccio mortale col M5S?
«Il Pd deve fare una scelta di campo: lasciar perdere le suggestioni pseudo-rivoluzionarie e lavorare per rafforzare il ruolo dell’Italia nell’Unione europea. Cosa che sta già accadendo con Draghi con straordinari benefici. Questo significa riforme per modernizzare e aumentare la competitività del Paese. Oggi con Draghi la possibilità di un ruolo da leader dell’Italia in Europa è un obiettivo realistico. Per farlo il Pd deve decidersi ad assumere un’identità: non più ex Dc ed ex Pci, reduci dagli scuonquassi giudiziari e della storia, pronti a rincorrere estremismi e finte rivoluzioni per salvare se stessi e le poltrone. Ci sarebbe bisogno di una forza liberal-socialista attenti ai temi contemporanei ma con una visione del futuro capace di cimentarsi, orientare e correggere le tendenze del progresso che, senza l’emancipazione delle persone e la loro evoluzione, rischia di produrre più tossine che vantaggi. Ma se la linea la dettano Travaglio e Fedez allora stiamo freschi: la sinistra è condannata a un ruolo di retroguardia. Sono rimasto sorpreso da parecchie cose».

A cosa si riferisce?
«Al silenzio del Pd, in pendant con quello grillino, sulle violenze in divisa avvenute nelle carceri. Fatti gravissimi ma poche reazioni e bocche cucite sulle responsabilità del guardasigilli dell’epoca, Bonofede. Sono rimasto sorpreso sul silenzio del Pd su Palamara e dintorni, dalla loggia Ungheria alle sentenza già scritte prima dei processi. Non sono ancora riuscito a comprendere il senso politico del no ai referendum sulla giustizia se non come un intestardirsi in un giustizialismo filo-Procure, in aperto contrasto con una forza democratica e di sinistra».

Intanto sul fronte opposto, in particolare in Fratelli d’Italia, si parla della candidatura di big nazionali del partito: per Napoli è un quid pluris o una deminutio?
«Se si candidano personaggi di peso e non è solo una trovata elettoralistica, è un fatto positivo».

Il centrosinistra non ha appoggiato la candidatura a sindaco di Antonio Bassolino, preferendogli Gaetano Manfredi: scelta saggia?
«Il Pd è stato ingeneroso con Bassolino, ma la candidatura di Antonio è più una revanche verso il giustizialismo del suo partito, che lo ha abbandonato quando era sotto inchiesta e poi sotto processo, che una prospettiva per la città. Senza contare le ”incomprensioni” con il governatore Vincenzo De Luca. Anche Manfredi, però, dopo la pizza con Conte, rischia di passare per unico candidato grillino in una grande città e questo non gli gioverà».

Se fosse lei il sindaco di Napoli, cosa farebbe?
«D’intesa con il presidente della Regione e alla guida di una delegazione di parlamentari, sindacalisti e imprenditori, chiederei a Draghi un piano straordinario per il lavoro e l’occupazione e lavorerei in quattro direzioni: periferie, rifiuti, depurazione e internet».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.