La crisi di governo e quella del sistema dei partiti. La notte della Repubblica e i campi politici “allagati”. Il Riformista ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York.

“La commedia è finita. Ma ora inizia la tragedia”. Così titolava Il Riformista a commento della giornata più lunga e buia del governo Draghi.
A seguire la maratona al Senato, martedì scorso, sembra di capire che Mario Draghi non avesse molta voglia di ricucire. L’ho scritto immediatamente sulla mia pagina Facebook: ovvero che Draghi ha fatto del suo meglio per mandare a casa il governo. Penso questo per due ragioni: nella relazione introduttiva ha stupito tutti (certamente me) per avere glissato quasi sui 5Stelle e lanciato critiche, invece, alla Lega. Del resto, è pur vero che se il movimento di Giuseppe Conte si è mosso con fare polemico nelle ultime settimane con i famosi 9 punti, la Lega aveva già prima soffiato sull’opposizione nella società. Da bravo populista, Matteo Salvini ha sempre vestito due ruoli: di opposizione di piazza e di politica ministeriale. Non solo durante la pandemia, con le folcloristiche manifestazioni dei no-vax, ma poi con i bagnini e infine con i taxisti, vocianti con toni eversivi sotto le finestre di Palazzo Chigi. La Lega di Salvini è stata in un governo che deve fare riforme in senso anti-corporativo e mercatistico e intanto si proclamava rappresentativa delle categorie più corporative e anti-concorrenziali. E secondo me, Draghi sperava in una divisione interna alla Lega, puntando sull’amico Giorgetti (rappresentativo degli industriali e dei governatori del Nord) per avere una sponda di contenimento del populismo di Salvini. Una decida di giorni fa correva voce di un’uscita di Giorgetti, poi sfumata. Insomma, nel suo discorso chi attendeva una reprimenda dei 5stelle (arrivata solo nella replica) è rimasto deluso. E la reazione a questa inattesa strategia di Draghi è stata immediata: sconcerto nel centro destra che subito ha chiesto tempo per riunirsi, con Berlusconi che non ha risposto alle telefonate di Draghi. Da quel momento, la destra ha virato radicalmente verso la non fiducia (durissimo l’intervento di Santanchè, che ha accusato Draghi di plebiscitarismo extra-parlamentare – da che pulpito è venuta la predica!).

Sulla base di queste considerazioni, qual è la sua lettura?
La mia lettura è la seguente: dato per scontato lo scontento dei 5Stelle, Draghi ha generato lo scontento anche nella destra. E quindi, alla fine a rompere, a votare contro è stata propria questa ultima compagine politica. I 5stelle non hanno partecipato ai voti, come promesso, pur senza lasciare l’aula; ma la destra ha votato contro – e questo ha generato l’uscita da FI di una esponente storica, Maria Stella Gelmini, e poi anche di Brunetta. E questo evento, per nulla secondario, mi induce ad una seconda riflessione.

Vale a dire?
Draghi ha, come un terremoto, contribuito a destabilizzare i due schieramenti “estremi” e quindi ha – non so se intenzionalmente – favorito la formazione di un centro largo, come soluzione possibile nella prossima legislatura per, magari, ritornare al governo (dubito che accetti altre proposte, ma chissà!). Mi spiego. Questa crisi (che Draghi non ha impedito) genera i seguenti scenari: 1) il campo largo a cui Enrico Letta e Giuseppe Conte lavoravano è tramontato e se i 5Stelle vanno soli a queste elezioni rischiano davvero la irrilevanza (il parlamento dei 600 che tanto hanno voluto si ritorce contro di loro); 2) il centro largo moderato prende il posto del campo largo; questo centro si estende da Di Maio a Calenda, Bonino, Renzi, Sala, e altri piccoli “cespugli” di amministratori e governatori e infine parte di Forza Italia; e, Draghi potrebbe essere il solo a unire queste schegge di egocrati…

E il Pd?
Il Pd non ha a questo punto altra scelta che stare con questo centro largo e, prendere o lasciare; ma accetterà di presentarsi senza un suo candidato e sperando di incoronare, poi, dopo le elezioni, Draghi? Io lo dubito e personalmente vedrei meglio Letta candidato premier, ma sarà difficile che intorno al suo nome si riuniscano i nomi che ho elencato sopra. Mi spiego: tanti “ego” come tanti galli in un pollaio, non si accordano ma si scontrano. Per metterli insieme occorre un gallo che non è parte del pollaio (della politica), quindi Draghi solo potrebbe suggellare questa unione di scopo elettorale di PD con il neonato centro largo; ma dubito che Draghi si presti a questa necessità.

Il centrodestra ha la strada spianata?
Nonostante il tamtam sulla stampa e i media che gridano al lupo al lupo (forse perché vorrebbero il lupo!), non è proprio detto che vincerà il centro-destra. Questo per alcune ragioni che andrebbero meglio analizzate. Qui solo pochi punti: il centro-destra che ha Giorgia Meloni leader sacrifica il centro, ed estremizza la destra. Questo può non convincere gli elettori moderati di FI (e l’uscita della Gelmini e di Brunetta è un assaggio); quindi è proprio l’esorbitante presenza di Meloni nei sondaggi il vero problema. Insomma, come a sinistra anche a destra il “caso Draghi” ha minato le ali e allargato il centro. A conclusione di queste elocubrazioni direi che, come si è concluso, questo governo ha in grembo idealmente il nuovo governo: un centro largo con il PD.

Le modalità della crisi, il rimpallo delle responsabilità, le aperture e i voltafaccia, l’esito finale. Questo combinato disposto non dà conto di un sistema politico polverizzato?
La polverizzazione non è del sistema ma dei partiti, che sono agenti di pluralismo ma non più dell’unificazione della cittadinanza. Oggi, assistiamo al seguente fenomeno di unificazione dell’opinione: la mobilitazione popolare del consenso, fuori della rappresentanza partitica. Lo abbiamo visto non solo con il classico populista Salvini, ma addirittura con i fans di Draghi. Matteo Renzi (che ha un’anima populista naturale) si è fatto promotore di una raccolta firme e il sindaco di Firenze di una manifestazione a sostegno di Draghi. E Draghi si è congratulato con “gli italiani” che lo hanno plebiscitato, diventando anche lui – tu quoque!- populista da diporto. Ecco la mia risposta: la polverizzazione è apparente, ovvero i partiti sono sempre più incardinati nelle istituzioni (fuori non esistono) e interessati a governare la formazione della classe politica – i cambi di governo sono come giri di valzer o se si preferisce come il cambiare la collocazione dei libri su uno scaffale. Quel che sta fuori dei partiti, la “società civile” e i “cittadini” sono soltanto un serbatoio di energia che i politici usano quando lo vogliono. Questa è la mia veloce definizione: plebiscito del pubblico. Ho ideato questa espressione nel 2014 in un libro sulla Democrazia sfigurata, e penso che sia descrittiva di una realtà effettuale, e questa vicenda della fine del governo Draghi lo ha dimostrato. Se è vero che lo stato democratico rappresentativo è una diarchia di volontà sovrana e di opinione, il plebiscitarismo di cui parlo riguarda l’opinione. Quindi non è più il tempo del bonapartismo (i due Napoleoni lanciarono plebisciti tra i votanti per avere il marchio del consenso sovrano popolare) ma è il tempo del plebiscito del pubblico o dell’audience, che è quotidiano, estemporaneo, transitorio, senza stabilità istituzionale, anche se ha il potere di muovere le volontà dei leader e dei partiti. Insomma, la nostra è una democrazia dell’audience che mobilita il pubblico quando conviene (salvo attaccare di “estremismo” l’azione politica di contestazione da parte dei cittadini). E questo lo si è visto, ironicamente, con il leader prestato alla politica dalla tecnica e che è, in teoria, il più distante dalle pulsioni populiste.

Salvo improbabili, almeno al momento, colpi di scena, il 20 luglio si è conclusa l’avventura politica di Mario Draghi. Che bilancio, personale, è possibile trarre?
Occorrerebbe più tempo per riflettere. In questo momento mi sento di dire che Draghi ha dimostrato poca attenzione alle questioni sociali (lo stesso Mario Monti sul Corriere della Sera lo ha sottolineato); ha anche dimostrato l’intemperanza rispetto ai tempi dei partiti, ai compromessi, alle mediazioni; proprio per il suo radicalismo purista (ovvero il dire la verità senza infingimenti, con toni diretti e anche rudi – ma così è la verità) – ha scardinato giochi esistenti – ha sbaragliato sia il progetto di un centro-sinistra che imbarca i 5Stelle e ha sbaragliato, secondo me, anche il centro-destra. In sostanza, Draghi ha operato, non so se intenzionalmente, per un macronismo all’italiana ovvero spostando personalità e baricentri vari verso il centro. A me non piace punto. But this is another story.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.