L'intervista
Intervista a Pietro Ichino: “Imprese e sindacati salvino insieme il Paese”
Di fronte al caos delle task force e della giungla delle riaperture che contrappongono governo, esperti e Regioni, l’analisi del professor Pietro Ichino è lucida e impietosa. «L’Italia – chiosa il giuslavorista già parlamentare del Pci e del Pd – è in ritardo rispetto al Centro e al Nord-Europa su molti fronti. Non possiamo stupirci, purtroppo, che sia in ritardo anche nel fronteggiare un terribile shock imprevisto come questo e che non abbia le idee chiare su come uscirne».
C’è un’emergenza gravissima ma tra Governo e Regioni, tra Nord e Sud, impazzano parole d’ordine contrastanti. Che succede?
È l’effetto perverso di un sistema istituzionale nel quale i governi regionali, forti dell’investitura popolare diretta, si confrontano con un governo centrale strutturalmente debole, perché così lo ha voluto il popolo italiano bocciando la riforma costituzionale nel referendum del 2016.
Che cosa si potrebbe fare per accelerare la ripresa senza sacrificare la salute dei cittadini?
Ci sarebbero molte misure possibili. Per esempio, mandare a lavorare i più giovani, per i quali il coronavirus è molto meno pericoloso che per gli anziani, chiedendo loro di restare lontano da casa per un mese e mettendo loro a disposizione un albergo vicino all’azienda: gli alberghi oggi sono vuoti.
C’è chi dice che in questo modo si metterebbe l’economia davanti alla salute.
Se si mantiene il blocco della produzione si espone la salute delle persone ad altri rischi. Abbiamo pensato, solo per fare un esempio, a che cosa potrebbe accadere quando incominciassero a scarseggiare le medicine? O a guastarsi i frigoriferi, i condizionatori, gli ascensori, i computer, e non ci sarà modo di ripararli o sostituirli?
Pensa che le aziende si adegueranno ai prossimi protocolli di sicurezza previsti dal governo?
Se gli standard di prevenzione del contagio sono stabiliti chiaramente, l’imprenditore che non li rispetta rischia di dover risarcire il danno al dipendente che si ammala. Se invece vengono rispettati, a lavorare vanno le classi di età meno a rischio, e lo Stato mette a disposizione l’alloggio vicino all’azienda per azzerare il rischio di contagio in famiglia, la salute dei cittadini corre complessivamente meno rischi con le aziende che lavorano che con una recessione senza speranza.
Vorrebbe dire esporre gli infra-cinquantenni al rischio del contagio e per di più imporre loro la segregazione dai familiari. Non le sembra un po’ troppo?
Senta, alla generazione precedente alla mia è stato chiesto di esporre la vita a rischi molto più gravi di questo, in guerre che lo meritavano molto meno di quella contro il coronavirus. Se l’articolo 52 della Costituzione – che impone a ogni italiano il “dovere sacro” di difendere la Patria anche mettendo a rischio la vita – ha ancora un senso, esso legittima lo Stato a chiedere a persone di età nella quale un tempo si veniva mandati al fronte, o si era comunque soggetti all’obbligo della leva, di separarsi per qualche settimana dalla famiglia ed esporsi a un modesto rischio per la salute, per evitare un rischio mortale per il Paese.
L’accordo tra Fca e Sindacati per la riapertura dei siti italiani è stato approvato velocemente e in armonia. Può essere un accordo-pilota su scala nazionale?
Certo che sì. Il sindacato dovrebbe svolgere in tutte le aziende il doppio ruolo che sta svolgendo alla Fca.
Doppio ruolo in che senso?
Il primo è quello di intelligenza collettiva dei lavoratori, che li guida nella valutazione comparativa dei rischi che corrono compiendo una scelta oppure un’altra: Fim-Cisl e Uilm svolsero già molto bene questo ruolo nel 2010, quando la scelta era tra il piano industriale di Marchionne e la nazionalizzazione della Fiat.
E il secondo?
Il secondo ruolo è quello di partner dell’imprenditore nell’individuazione delle scelte di organizzazione del lavoro che producono i risultati complessivamente migliori per i lavoratori e per l’azienda.
Lei ha recentemente dichiarato che con la pandemia stiamo assistendo a una “grande disuguaglianza” tra lavoratori, con il dipendente pubblico, rimasto a casa ma ugualmente stipendiato dallo Stato, diventato un privilegiato rispetto all’omologo di un’impresa privata. Cosa propone per restituire equità?
Con lo stesso decreto con cui è stato disposto il divieto di andare al lavoro per tutti coloro che non svolgono attività indispensabili, avrebbe potuto essere stabilito che agli impiegati pubblici lasciati a casa, per i quali non si attivi una qualche forma di lavoro da remoto, venga erogata soltanto un’integrazione salariale pari a quella che percepiscono tutti i dipendenti del settore privato. Se non lo si fa è solo in omaggio all’idea sbagliata che lo stipendio pubblico sia qualcosa di diverso dalla normale retribuzione di un lavoratore dipendente.
Ma le obiettano che se anche la sospensione arrivasse a durare tre mesi, all’erario ne deriverebbe un risparmio di un miliardo o poco più: poca cosa rispetto all’aumento del debito di questi giorni.
È vero. Ma basterebbe per dare un sostegno concreto alla parte degli stessi dipendenti pubblici oggi eroicamente in prima linea: per esempio premiando medici e infermieri che stanno lavorando il doppio; oppure dando i pc agli insegnanti che si stanno arrabattando per fare lezioni online di tasca loro. E gioverebbe molto alla coesione solidale tra i cittadini, che nelle catastrofi è la risorsa più importante di cui un Paese dispone; e che si basa sulla condivisione da parte di tutti del peso delle circostanze avverse.
Come giudica l’uso dello smart working. Sarà il lavoro del futuro o è solo un’opportunità per ricchi?
In queste settimane il tessuto produttivo italiano ha fatto un balzo avanti enorme sul terreno del lavoro a distanza. Certo, però, si sono anche evidenziati i problemi che sorgono quando in casa non si ha un locale che consenta di separare l’ambiente di lavoro da quello domestico. È probabile che nel prossimo futuro si sviluppi il business dell’affitto di luoghi di lavoro a distanza distribuiti sul territorio, consentendo una riduzione dello spazio per gli uffici dentro le aziende. E che il lavoro sia sempre meno misurato dal tempo e più dal risultato.
© Riproduzione riservata