In un recente articolo sul Corriere della Sera, Paolo Mieli ipotizza la formazione o il consolidamento di una sorta di “nuovo centro” (così lo chiama lui stesso), che comprenderebbe i tre partiti che, sia pure in misura diversa, hanno preso posizione con un relativo favore o comprensione a Putin nella vicenda del conflitto russo-ucraino. Si tratterebbe, in particolare, del Movimento 5 stelle, di Forza Italia e della Lega.

È un’ipotesi di grande interesse e per certi versi attuale, che merita di essere approfondita, anche nei suoi aspetti di criticità. Occorre osservare infatti anzitutto che si tratta di tre partiti che vivono, anche se con diversi gradi di gravità, una profonda crisi nell’elettorato, almeno dal punto di vista della raccolta delle intenzioni di voto. Come si sa, infatti, il Movimento 5 stelle e la Lega scendono ormai da mesi nei sondaggi, il che ha provocato più di una frizione interna. E Forza Italia, anch’essa protagonista di feroci conflitti tra i propri esponenti (con una netta differenziazione tra chi ricopre incarichi di governo e chi no), si barcamena attorno alla modesta soglia dell’8%.

Il fatto che specialmente Lega e 5 Stelle scendano nei sondaggi potrebbe sorprendere più di un osservatore. Entrambi hanno voluto infatti cercare nel recente periodo di conquistare proprio il promettente (come vedremo solo in apparenza) mercato elettorale di chi esprime posizioni in qualche modo “comprensive” verso la Russia: un segmento di elettorato cui anche Mieli fa riferimento nelle sue argomentazioni, in relazione alle possibilità di unificarlo proprio a partire da queste tematiche. Guardando i sondaggi, l’idea non sembra del tutto sbagliata, anzi, appare foriera di buoni risultati. La maggioranza degli italiani intervistati nelle ricerche dichiara infatti di volere la sospensione della fornitura da parte dell’Italia di armi a Kiev. E una quota consistente – relativamente maggioritaria – propone l’accettazione immediata delle richieste territoriali russe, in cambio della pace subito. Tutto il contrario delle posizioni “atlantiste”.

Sembrerebbe dunque esserci ampio spazio per conquistare i consensi di chi – e, lo ricordiamo, si tratta di una quota molto ampia degli italiani – si dichiara su queste posizioni. Invece non è così. Specialmente perché, malgrado queste preferenze siano state espresse e continuino ad esserlo, l’opinione sul conflitto russo ucraino non rappresenta, almeno per oggi, in Italia una motivazione di voto essenziale tra gli elettori, almeno per la loro maggior parte. Anzi. Le posizioni “pacifiste” assunte nelle ultime settimane da Lega e 5 Stelle hanno contribuito al contrario ad allontanare da loro una fetta di elettorato in disaccordo e, dall’altro verso, non sono per ora sembrate riuscire ad avvicinare quella porzione pur consistente di cittadini che invece le appoggerebbe. Costoro sono d’accordo su questi orientamenti “pacifisti”, ma al tempo stesso non votano per i partiti che le esprimono.

Come mai questa apparente contraddizione? La ragione sta nel fatto che quella sulla guerra non costituisce, sin qui, una motivazione di voto prevalente e dirimente per gran parte degli elettori. La gente, insomma, non sceglie, almeno per ora, il partito sulla base della posizione internazionale, quanto piuttosto sulla base delle proposte e delle idee legate ad altre tematiche ritenute di maggior rilievo: specialmente la propria condizione economica e sociale personale e le prospettive future. Ed è chiaro dai risultati dei sondaggi che la proposta che i 5 Stelle e la Lega offrono in questo momento sembra, dal punto di vista degli elettori, corrispondere sempre meno a queste aspettative. Probabilmente anche Berlusconi, nelle sue, forse incaute, prime dichiarazioni napoletane ha voluto, anche per la sua innata sensibilità ai risultati dei sondaggi (che, vale la pena di ricordarlo, lui stesso ha contribuito a promuovere nella vita politica del nostro paese), cercare di conquistare questo appetitoso mercato elettorale potenziale. Ma si è sbagliato.

Malgrado la maggioranza degli elettori sia per una posizione di pace più accentuata di quella proposta per l’Ucraina dal governo Draghi, la fiducia in esso rimane elevata. E, come abbiamo sottolineato, gli elettori scelgono più sulla base di quest’ultima che sulle posizioni internazionali dei partiti. Oggi, comunque, la somma dei tre partiti vale nei sondaggi più favorevoli intorno al 38%, il che è troppo poco per aspirare ad una maggioranza parlamentare. Peraltro, la legge elettorale in vigore, che per ora tutti i partiti del centro destra – Lega e FI incluse – affermano di non voler cambiare (numerose in questo senso le dichiarazioni dell’esperto elettorale di Salvini, Roberto Calderoli) – necessita, se si vuol provare a vincere le elezioni, che gli alleati di una coalizione presentino un candidato comune dei collegi uninominali.

Sarebbe più che interessante vedere quanti elettori grillini voterebbero nel loro collegio un candidato unico di stampo berlusconiano, e viceversa un candidato dei 5S gli elettori di FI. Bisognerebbe dunque immaginare che si spacchi la coalizione di centro destra, la cui esistenza sembra oggi decisamente la migliore chance per i tre partiti che la compongono di tornare insieme al governo dopo molti anni. E occorrerebbe pensare, inoltre, che Di Maio e i pentastellati vicini a lui come anche il pezzo di FI che sta con Brunetta, Carfagna e Gelmini, la quale si è particolarmente esposta negli ultimi giorni, accettino il ritorno della coalizione gialloverde, questa volta benedetta dal patriarca Berlusconi.

Certo, il prolungarsi del conflitto in Ucraina potrebbe far crescere nell’elettorato il partito, se così si può chiamare, del rifiuto a ridurre il riscaldamento. Ma è più verosimile che la guerra stanchi prima dell’inverno gli stessi belligeranti. Se nei prossimi mesi la Russia non riuscirà a piegare la resistenza militare ucraina – la quale si difende anche grazie alle armi che ha ricevuto dai paesi occidentali – le premesse della tregua potrebbero non essere più così lontane.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino