Dopo aver indicato Alessandra Clemente quale sua legittima erede, a gennaio Luigi de Magistris ha annunciato la sua candidatura a presidente della Calabria nello stupore generale. Per il sindaco uscente di un capoluogo, infatti, sarebbe stato più naturale candidarsi alla guida della stessa Regione della città amministrata fino a quel momento. In verità, in passato, Dema annunciò di volersi battere contro Vincenzo De Luca, salvo poi rinunciare, come pure manifestò l’intenzione di candidarsi alle europee insieme con Varoufakis e di puntare alla presidenza del Consiglio in caso di scioglimento delle Camere elette nel 2018. Dopo l’esperienza fallimentare di Rivoluzione civile, movimento che fondò insieme con l’altro magistrato Antonio Ingroia, il sindaco di Napoli si è sempre limitato ad annunciare le candidature, per poi desistere al momento opportuno.

La Calabria, però, rappresentava l’unica opzione disponibile per non restare a casa, cioè senza alcuna carica istituzionale. Per chi è nelle istituzioni da decenni – prima come magistrato e poi come politico – non sarebbe stata una condizione facile da accettare, anche perché, probabilmente, avrebbe dovuto cercarsi un lavoro in attesa di una nuova opportunità elettorale dalle parti di Napoli, in attesa dell’elezione del Parlamento nazionale attesa per il 2023. Due anni di attesa sarebbero stati troppi. E allora via, lancia in resta, alla conquista delle terre calabresi con il solito refrain della rivoluzione dal basso, dell’orgoglio calabrese, delle massomafie da combattere, della lotta alle ingiustizie, contro i partiti delle prima, seconda e terza Repubblica per un nuovo modo di amministrare, per una Calabria ricca, splendente ed efficiente. Promesse alle quali – ahimè – tanti napoletani hanno creduto per poi ritrovarsi, dopo dieci anni, con una città devastata. Dopo aver tentato, senza riuscirci, di proporsi come candidato unitario del centrosinistra – compresi i partiti delle vecchie e nuove repubbliche – Dema ha convinto l’ignaro Carlo Tansi, a capo di un considerevole movimento civico, e l’inconsapevole Pino Aprile, presidente di un altro movimento, ad allearsi ed entrare in coalizione con lui. Queste alleanze si sono quasi subito disciolte dopo che Tansi e Aprile si sono accorti delle scorrettezze di de Magistris.

Nonostante le defezioni, il candidato napoletano in terra calabrese annuncia, dichiara, urla nelle piazze che vincerà le elezioni e sarà il nuovo presidente della Regione mentre da più parti gli viene rivolta “l’accusa” di puntare solo a uno strapuntino da consigliere regionale. Per essere certo di centrare questo “obiettivo minimo”, che gli consentirebbe di percepire un lauto stipendio, de Magistris si candiderà anche in una delle sue liste: un evidente segno di paura e di debolezza. La legge elettorale calabrese, infatti, prevede che diventi automaticamente consigliere solo il miglior perdente candidato presidente, mentre i restanti classificati restano a bocca asciutta a meno che non ci si candidi anche in una lista per essere eletto con le preferenze. Dunque se, come appare probabile, Dema si candiderà anche in una lista, lo farà perché convinto di arrivare terzo: in tal caso diventerà consigliere, ma darà ragione ai detrattori; se invece si candiderà solo alla presidenza della Regione, vorrà dire che punta sul serio alla vittoria. In quest’ultimo caso… chapeau! Ma andrà davvero così?