Prosegue violentissimo “l’assalto” contro Luca Palamara e Cosimo Ferri in vista del loro processo disciplinare che inizierà il 21 luglio al Csm e che, secondo le aspettative, dovrebbe concludersi con l’espulsione dei due dalla magistratura. I primi colpi sono stati sparati venerdì scorso dai magistrati di Area, il correntone di sinistra di cui fa parte Magistratura democratica. «È necessario che le responsabilità specifiche per i fatti emersi vengano affermate con ponderazione, rigore e fermezza e che, nel contempo venga difesa gelosamente la credibilità della magistratura e della giurisdizione che è rimasta estranea a tali deviazioni e che deve poter proseguire a svolgere le proprie funzioni in un contesto di serenità e fiducia», il diktat delle toghe progressiste ai giudici della disciplinare. Domenica è stato il turno del Fatto Quotidiano con l’editoriale del direttore. «Ma che deve ancora fare Cosimo Maria Ferri per essere cacciato dalla magistratura», l’incipit del pezzo di Marco Travaglio il quale, per non farsi mancare nulla, elencava anche le vicissitudini giudiziarie dei fratelli dell’ex sottosegretario alla Giustizia.

Ieri, infine, il botto con due articoli su Repubblica: “Un lido in Sardegna per Palamara ma spunta l’amico prestanome”, e “Operazione Confusione. Le manovre dell’ex pm per sfuggire ai suoi giudici”. Nel primo pezzo Palamara viene indicato come “socio occulto”, il titolare è un commercialista romano, di uno stabilimento di fronte l’isola di Tavolara. Dal maxi fascicolo di Perugia sono stati ripresi alcuni passaggi circa l’acquisto da parte dell’ex presidente dell’Anm di una quota per 23mila euro di un chiosco per la vendita di bibite e panini. Episodio senza rilievo penale, come certificato dal gip del capoluogo umbro, in quanto la legge consente ai magistrati la possibilità di acquistare quote societarie. Nulla di illecito, insomma, ma sufficiente per il titolone ad effetto di Repubblica.

L’altro articolo, senza citarli espressamente, punta ai giornali, fra cui anche il Riformista, che in questi mesi hanno sollevato perplessità sul modo di conduzione delle indagini. Una strategia per allontanare il processo disciplinare.Fra i temi dibattuti, la raccolta illegittima delle intercettazioni da parte della finanza e la successiva manipolazione del contenuto. Tutto, ovviamente, falso per Repubblica. Il Riformista, invece, ha dato conto di un provvedimento del pm titolare del fascicolo, Gemma Miliani, indirizzato al comandante del Gico della guardia di finanza di spegnere il microfono ogni qualvolta nelle discussioni di Palamara fosse stato coinvolto un parlamentare. Cosa non accaduta. E poi errori di trascrizione come quello della conversazione tra Palamara e l’ex pg della Cassazione Riccardo Fuzio.

«Dall’ascolto dell’audio emerge che Palamara e Fuzio discutono delle problematiche insorte a seguito della presentazione dell’esposto presentato al Csm da parte di Stefano Fava (già pm a Roma) nei confronti di Pignatone», puntualizza la difesa di Palamara, sottolineando come «i comunicati di gruppi associativi o gli articoli di giornali» abbiano il «chiaro intento di cercare di influenzare e di anticipare il giudizio della sezione disciplinare». Leggendo il fascicolo di Perugia, si scopre infatti che i rapporti fra Pignatone e Fava non fossero idilliaci. L’elemento scatenante è una richiesta di intercettazioni da parte di Fava, nell’ambito di una indagine per corruzione in atti giudiziari, a carico di avvocati e magistrati, fra cui Francesco Caringella, giudice del consiglio di Stato. Siamo nell’estate del 2016. Pignatone scrive una piccata nota a Fava, per conoscenza all’aggiunto Paolo Ielo.

«Rileva che permangono violazione dei criteri organizzativi dell’ufficio che prevedono il visto dell’aggiunto per le nuove intercettazioni». E poi: «Rimangono senza esito le mie richieste, formali ed informali, di essere informato degli sviluppi delle indagini più importanti». Il procedimento è ritenuto da Pignatone di “particolare delicatezza”. L’ex procuratore di Roma ordina allora di «non dare corso alla richiesta e ad attenersi alle regole dell’ufficio». Ielo è d’accordo con il procuratore e stronca l’annotazione della guardia di finanza «piena di affermazioni apodittiche e gronda di condizionali e giudizi probabilistici, assolutamente inidonei a radicare un giudizio di sussistenza di indizi». «Si è in presenza di illazioni e nulla di più», scrive Ielo. «Occorre non solo un controllo critico più intenso delle affermazioni della pg ma a mio giudizio anche una più pregnante direzione della sua attività secondo le prerogative proprie del pm», l’affondo nei confronti di Fava.

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