Bel colpo della Rai, nel giorno in cui entra in vigore la legge sulla presunzione di innocenza, nelle stesse ore in cui il procuratore nazionale antimafia denuncia come “patologia del giustizialismo” e “sollecitazione a una giustizia sommaria” certa stampa. Proprio nello stesso giorno il servizio pubblico emette una sentenza di condanna nei confronti dell’avvocato Giancarlo Pittelli, oltre a tutto per fatti per cui non è neppure indagato. Bel colpo, da parte di chi ci estorce ogni mese il canone in bolletta, cioè il servizio di cui ogni cittadino è finanziatore. Dobbiamo per forza sostenere economicamente Report e la sua puntata di lunedi sera, così come quella di Presa Diretta del marzo scorso? E la Commissione di vigilanza ha qualcosa da dire?

Giancarlo Pittelli è un cittadino innocente. Non colpevole secondo la Costituzione, per la precisione. Imputato solo del reato che non c’è, il concorso esterno in associazione mafiosa. Arrestato tre volte con una pervicacia torturatrice di stile egiziano. Vittima costante di gogna mediatica, nonostante la Costituzione, nonostante le leggi. Viviamo in un Paese in cui, per costringere la magistratura ad applicare i principi della Carta fondamentale, dobbiamo aspettare le ripetute condanne da parte della Corte Europea e poi anche far approvare dal Parlamento leggi specifiche. In poche parole, per convincere il procuratore di Catanzaro, che ha già dichiarato di infischiarsi della Cedu e delle leggi sulla presunzione di innocenza (e almeno lui non è un ipocrita) a non denunciare in conferenze stampa gli indagati come già colpevoli, dobbiamo metterlo nero su bianco. Se no, né lui né i suoi colleghi lo capiscono. Quindi tutto continuerà come prima, nelle aule di giustizia così come in quelle dei cronisti giudiziari? A giudicare da quel che è successo il primo giorno dell’entrata in vigore della nuova legge, pare proprio di si.

Giancarlo Pittelli entra nella puntata di Report mentre una musica assordante, di quelle dei più trucidi film di Netflix, accompagna la parola “Potere”. Si parla di Monte dei Paschi, di Banca D’Italia, di traffico di diamanti e c’ è sempre il Buono contro i Cattivi, quando improvvisamente si annuncia l’ingresso di “Lui”, il Potere. E ha la faccia dell’avvocato Pittelli. Il viso compare e resta sullo schermo per un bel po’. Non è tanto rilevante la storia che viene narrata, che non pare aver nulla di illegale, e che parla di un progetto di costruzione di un centro turistico su terreni di sua proprietà a Copanello, sulla costa jonica della Calabria, quanto la presentazione del personaggio. Una sorta di scheda biografica che pare un mattinale di questura. Il conduttore Sigfrido Ranucci, che pare sempre accaldato nella fatica della sua lotta di Puro contro gli Impuri, è accompagnato da un altro giornalista di quelli che amano e si indentificano con la toga del pm, Pietro Comito dell’emittente calabrese Lactv.

Ecco come il combinato-disposto giornalistico presenta il cittadino innocente Giancarlo Pittelli: anello di congiunzione tra poteri forti, massoneria, ‘ndrangheta e finanza. Naturalmente pare obbligatorio citare esponenti delle famiglie Piromalli e Mancuso come persone assistite professionalmente dall’avvocato “fin dal 1980”. Il che deve essere un grave reato, secondo la solita vulgata sbirresca dell’ottocento, per cui se l’imputato deve essere identificato con il reato per cui lo si accusa, a maggior ragione tale commistione deve valere per il legale. Mafioso l’assistito, mafioso l’avvocato. Peggio ancora se questi è anche “anello di congiunzione” tra ambienti sospetti quanto la ‘ndrangheta, cioè la massoneria e la finanza. Tutti delinquenti. E chi lo dice che l’avvocato calabrese svolge questo ruolo così importante? Lo dice il procuratore Gratteri, naturalmente. Ah, ma parliamo della stessa persona che nei giorni scorsi ha già detto di considerarsi “legibus solutus” e di conseguenza di non tenere in nessun conto le decisioni del Parlamento? Lo stesso che nella trasmissione di Riccardo Iacona del marzo scorso ha parlato in lungo e in largo, intervistato ben sei volte nel corso della puntata, dell’inchiesta “Rinascita Scott” di cui lui stesso è titolare?

Le premesse ci sono tutte perché la svolta garantistica sulla presunzione d’innocenza fortemente voluta dalla ministra Cartabia sia una strada tutta in salita. Troppo antica, almeno trentennale, è la complicità tra la casta dei pubblici ministeri e quella dei giornalisti fondata sul mercato nero delle notizie coperte da segreto e delle intercettazioni. Tanti cronisti ci campano e ci fanno carriera, anche perché ormai nessun editore o direttore chiede più loro di saper scrivere e parlare in buon italiano per essere assunti e poi emergere nella professione. Si chiede lo scoop, e quello te lo può dare solo il rappresentate del vero potere, il magistrato. La moneta di scambio per il pm che ti rifila le notizie sottobanco, che ti passa le intercettazioni, che ti fa virgolettare le ordinanze (così si sommano i due analfabetismi) è la sua visibilità.

La popolarità che un domani lo può portare anche alla carriera politica. Sarà possibile spezzare questo vincolo “mafioso” con una legge che vieta le conferenze stampa ma, come ogni forma di proibizionismo (anche quello più ricco di buone intenzioni) non può rompere il contrabbando e il mercato nero? Difficile, a vedere quel che è successo il primo giorno. Difficile, ma non impossibile, se è sceso in campo addirittura il procuratore nazionale antimafia. Ora aspettiamo i vertici dell’Ordine e dell’Associazione dei giornalisti. Coraggio, colleghi.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.