L'emergenza carceri
Bonafede abbandona i detenuti, in carcere sanità al collasso ma il ministro se ne frega

B.T. ha 48 anni, è paraplegico, ed è detenuto nel carcere di Cagliari UTA dal novembre 2019. Soffre di assenza della mobilità degli arti inferiori, assenza del controllo sfinterale, rigidità e spasticità inveterata, insufficienza respiratoria con tracheo-bronchiti frequenti ed infine ha un vasto decubito sacrale. Per essere più espliciti, il detenuto non è in grado di defecare e urinare autonomamente e per questo motivo ha bisogno del catetere e di frequente svuotamento dello sfintere anale. Tutte queste operazioni che fanno parte della quotidianità della vita dovrebbero essere fatte in ambiente totalmente asettico onde evitare infezioni alle vie urinarie e alla piaga da decubito che potrebbero portarlo alla morte.
L’avvocato Pasquale Striano, suo difensore, ha documentato che il paziente ha bisogno di trattamento kinesi-terapico, al fine di mitigare gli effetti della spasticità, mediante rinforzo del tono muscolare per favorire i gesti di vita quotidiana, verticalizzazione due volte al giorno nello stabilizzatore per ridurre la spasticità degli arti inferiori e favorire il transito intestinale, ginnastica respiratoria per fronteggiare la paralisi di alcuni muscoli respiratori.
L’avvocato Striano non ha chiesto la scarcerazione del suo assistito ma il trasferimento in una struttura ospedaliera dove possa essere curato e dove possa fare l’indispensabile fisioterapia che a Cagliari-Uta non sono in grado di assicurare.
Il detenuto in questione, già in passato dichiarato incompatibile con la detenzione in carcere, è stato ricoverato presso il Campolongo Hospital di Eboli (SA) – struttura presso la quale è rimasto ai domiciliari per oltre 3 anni senza mai creare problemi, ossequioso del provvedimento reso dal GIP di Napoli. Oggi gli si rifiuta il ricovero nella struttura perché si dice che l’ospedale di Eboli non può più essere utilizzato allo scopo in quanto divenuto presidio Covid-19. Quello che però non viene chiarito è che l’immensa struttura ha previsto un piano riservato ai malati di coronavirus separato – a scompartimento stagno, con percorsi e personale medico dedicati – dagli altri reparti, ove tuttora sono ricoverati numerosissimi degenti. Ho voluto esordire con questa storia che definisco “infame” perché da sei mesi l’amministrazione penitenziaria non è in grado di trovare – come accaduto nel caso Zagaria – una soluzione di cura per questo detenuto privato anche del piantone d’ausilio nella sua vita in cella.
Ora, in tutta l’indecorosa querelle che ci ammorba da giorni fra chi è più antimafioso tra Di Matteo e Bonafede, un argomento – cruciale – è rimasto fuori ed è lo sfascio della sanità penitenziaria che non è mai stata in grado di assicurare, non ad uno o quattrocento, ma a decine di migliaia di detenuti i livelli minimi di cura e assistenza che per legge dovrebbero essere garantite ad ogni cittadino. Si tratta del tradimento della riforma di 12 anni fa che prevedeva il passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. Incredibilmente il ministro della salute Speranza non ha fiatato e in tutto l’evolversi della pandemia non ha mai presentato – come era suo dovere – un piano sanitario d’emergenza per le carceri i cui direttori sono stati lasciati letteralmente soli a gestire una condizione inedita senza mai avere un chiaro indirizzo sul da farsi.
È così capitato che in alcune carceri – come ha denunciato il Dott. Francesco Ceraudo per il carcere di Pisa – si è arrivati al paradosso di non autorizzare il Personale Sanitario all’uso dei dispositivi di protezione perché ciò avrebbe potuto turbare psicologicamente i detenuti. Il risultato di questa demenziale direttiva è stato il contagio da Covid-19 di un medico, dello specialista di odontoiatra e di due Infermieri professionali ai quali occorre aggiungere almeno 15 Agenti della Polizia Penitenziaria. Roba da denuncia penale. Altre iniziative insensate che sono state effettuate dall’amministrazione penitenziaria riguardano le centinaia se non migliaia di trasferimenti compiuti con tanto di traduzione a centinaia di chilometri di distanza dei detenuti che avrebbero partecipato alle rivolte.
Anche qui le conseguenze sono state nefaste, con il coronavirus “servito a domicilio”, come denunciato dal Sindaco di Tolmezzo che si è visto arrivare nel carcere della cittadina friulana cinque detenuti, poi rivelatisi positivi al Covid, provenienti dal carcere di Bologna. Si tratta di alcuni esempi – oggetto di interrogazioni parlamentari del deputato Roberto Giachetti – che evidenziano lo stato di vero e proprio collasso della sanità in carcere, deprivata nel tempo di risorse e di professionalità da parte delle regioni che sul carcere, per esclusivi motivi elettoralistici, preferiscono risparmiare. Ieri alla Camera il ministro Bonafede – chiamato a rispondere, ahi-noi, della mancata nomina a Capo del DAP della star Di Matteo che vede trattative mafia/stato dappertutto – oltre all’ennesima sfiancante ricostruzione della sua scelta, ha rivendicato le tante cose positive portate avanti dall’amministrazione penitenziaria diretta da Basentini (che se è stato così bravo non si capisce perché lo abbia costretto alle dimissioni).
Fra queste balle ci sono i nuovi padiglioni da 200 posti (in due anni di sua reggenza non ne è entrato in funzione nemmeno uno) decisi, costruiti e finanziati dai governi precedenti. Ha accennato anche alle fantomatiche “caserme” da riconvertire in carceri. Insomma, una serie di fandonie che nulla hanno a che fare con l’indecente realtà del nostro sistema penitenziario. Due giorni fa ha dato in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo decreto-legge per riconquistare punti sul suo livello di antimafiosità, ridottosi a causa delle sconsiderate dichiarazioni televisive di Di Matteo il quale si è ridestato a scoppio ritardato di due anni dalla sua mancata nomina.
Un decreto intimidatorio nei confronti dei magistrati di sorveglianza, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere riconoscendo i diritti inalienabili di chi per gravità di patologie è incompatibile con la detenzione in carcere. Senza il senso di responsabilità di alcuni di questi magistrati dell’esecuzione penale (ma anche dei GIP, per la custodia cautelare), in questi due mesi di pandemia la popolazione detenuta non sarebbe diminuita di quasi 8.000 unità come è accaduto facendo così respirare almeno un po’ un sistema al collasso. Per Bonafede (e il capo del DAP che si era scelto), ricordiamolo, il sovraffollamento non è mai esistito. Con il Partito Radicale e Nessuno Tocchi Caino siamo convinti che solamente con denunce a tutti i livelli giurisdizionali si può salvare l’onorabilità di quello che dovrebbe essere uno stato di diritto democratico. Dall’altra parte, da vomito, sono stati ieri i discorsi delle opposizioni di Lega e Fratelli D’Italia perché, come diceva Marco Pannella, sono semplicemente SOCI, al di là della quotidiana ammuina di contrapposizioni.
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