E poi ha invitato i presenti a continuare a lottare. Luciano Gallino, rifiutando la tesi menzognera della fine del conflitto di classe, ha parlato del rovesciamento del conflitto di classe. Il suo fondamento: il lavoro subisce una mutazione radicale. Ha ragione Biagio De Giovanni, è mutata l’organizzazione del lavoro, la composizione del capitale, la sua distribuzione geografica. Il lavoro è destrutturato e de-soggettivizzato, mentre in alto lo domina una centralizzazione dell’economia, senza concentrazione della forza di lavoro.

Eppure, il lavoro, quello che c’è, così com’è, quello che c’è ma è negato socialmente, quello che non c’è, il lavoro, insomma, è pur sempre, nel suo insieme, una pietra d’inciampo del sistema. In tutta la sua molteplicità, che va ormai dalla schiavitù al lavoro concettuale, fino all’intelligenza artificiale, l’algoritmo può prendere il posto della catena di montaggio. Ma sono proprio gli economisti critici, gli eredi della straordinaria scuola del lavoro vivo, che ci riportano alla vitalità della categoria del lavoro astratto per indurci a indagare le nuove frontiere dell’alienazione del lavoro e dell’accumulazione, dove certo è riapparsa la spoliazione dell’umano, ma non è scomparso lo sfruttamento; dove riappare, più radicale che mai, in opposizione ad esso, il tema dell’autonomia, dell’autogoverno, della liberazione del e dal lavoro salariato.

Al Novecento non si torna né socialmente, né culturalmente, né politicamente. A maggior ragione, non si torna se parliamo dell’istituzioni politiche del suo Movimento operaio. Bisognerà continuare a riflettere sul perché i partiti comunisti, socialisti, social-democratici, laburisti sono scomparsi o sono entrati in una crisi radicale dopo il Novecento. Simul stabunt vel simul cadent. Si dovrebbe almeno convenire che con loro, tuttavia, non si eclissa la ragione prima della loro nascita, l’uguaglianza, che anzi, invece, si radicalizza nel nostro tempo. Ma qui comincia, e non finisce, la ricerca sul socialismo. Verrebbe da ricorrere al luxemburghiano “socialismo o barbarie”. Ma forse, riconoscendo che siamo stati nani sulle spalle dei giganti, dobbiamo riconoscere che essi, con la loro storia, possono tornarci utili solo oltrepassandoli. In alto, ricostruendo una nuova critica, teorica e pratica del capitalismo finanziario globale; in basso, attingendo a nuove fonti, a nuove esperienze di lotta e a nuovi soggetti critici.

Ieri, la lotta di classe le comprendeva tutte, o almeno ci provava; domani, io credo, le attraverserà, come entrando nella Costituzione di un popolo, come si è cominciato a intravedere nelle rivolte. Un capitolo della nuova storia del conflitto si fa strada in una straordinaria quantità di Paesi di tutto il mondo. Scoppiate come scintille, sono divampate senza un progetto già pronto, senza una leadership costituita a farne da guida. Dentro queste esperienze, vivono delle istanze radicali e una domanda di cambiamento così profonda che non si vede quanto e come possano essere assorbite dal sistema, né si vede come, nell’immediato, possano assorbirle i governi.

Per parlare delle esperienze in corso: quella francese, d’Algeria, cilena e di tanti altri Paesi ancora. Il residuo, l’eccedenza, quel che resta fuori oggi e domani dal sistema consente, certo non obbliga, a ripensare a un’altra e diversa società, che si può ancora chiamare socialismo, e lascia intravedere un diverso cammino nella costruzione del soggetto sociale e politico della trasformazione. Certo si tratterà di un soggetto inedito.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.