La guerra Russia-Ucraina
“Le armi non sono la strada, ho curato per una vita vittime di guerra”, intervista a Pietro Bartolo

Se c’è un uomo simbolo di una Italia solidale, generosa, impegnata in una solidarietà fattiva, quotidiana, nei confronti di migranti e rifugiati che in questi anni sono sbarcati sulle coste siciliane, quest’uomo è Pietro Bartolo, 66 anni, il “medico dei migranti”, una vita a salvare vite umane a Lampedusa, reso famoso dal film Fuocoammare di Gianfranco Rosi, vincitore nel 2016 dell’Orso d’oro a Berlino. Eletto con una marea di voti, Bartolo è dal 2019 parlamentare europeo. E da Bruxelles dice: “Il mio ‘esercito’ è quello pacifista. Il mio ‘generale’ è Papa Francesco”.
Una stampa in divisa militare ha sentenziato: se hai dei dubbi nell’inviare armi all’Ucraina, sei un servo, più o meno sciocco, di Putin. Lei si sente un “servo”?
No. Mi sento orgoglioso di far parte dell’unico “esercito” che oggi marcia nella direzione giusta: l’ “esercito” della pace. E siamo in tanti e tante a farne parte. Con le bandiere arcobaleno, “armati” di una convinzione che viene, per molti di noi, da esperienze di vita a contatto con chi della guerra è vittima. Penso alle migliaia di esseri umani che ho avuto modo di conoscere, aiutare, negli anni, tanti, in cui ho lavorato come medico a Lampedusa. Ricordo i loro sguardi, impauriti, le storie di un dolore indicibile nella loro esistenza. Questa umanità sofferente fuggiva dalle guerre, dalle pulizie etniche, da regimi sanguinari, da uno sfruttamento disumano, da una povertà assoluta. Sul loro corpo, e nella mente, avevano i segni delle violenze subite. La guerra è distruzione, è morte. E a pagarne il prezzo più alto sono sempre i civili. E ora dovremmo sorbirci la lezione di quelli dell’ “armiamoli e partite”. Sì perché, gli interventisti non hanno il fegato di esporsi in prima persona, ma pensano di salvarsi la coscienza fornendo armi a chi è dalla parte giusta.
La parte giusta, quella di chi è stato invaso: l’Ucraina…
Questo è fuori discussione. Non conosco nessuno che nel pur variegato universo pacifista, abbia messo in discussione questa realtà di fatto. E se pure c’è, è davvero marginale. Il punto discriminante è un altro…
Quale?
Come si aiuta davvero il popolo ucraino. Io non metto in discussione la buona fede del Governo italiano quando ha deciso di inviare equipaggiamenti militari di difesa agli ucraini. Dico solo che non credo che questa sia la strada più giusta, migliore, per arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto in corso.
I direttori con l’elmetto le direbbero: ecco il solito pacifista inerme?
Inerme? Cosa c’è di “inerme” della proposta avanzata dalle pagine del suo giornale da Luca Casarini, e fatta propria dal mio collega Smeriglio e che anch’io sostengo. E come me tanti altri parlamentari europei. Cosa c’è di “inerme” nell’usare i propri corpi come strumenti di pace? Nel riempire Piazza Maidan,a Kiev, di donne e uomini di nazionalità diverse che mettono la faccia e il corpo, oltre che la voce, per dire: Fermatevi. La guerra è una follia. Se viene data luce verde, io sono pronto a partire. L’iniziativa proposta da Luca parla anche al popolo russo. Ai famigliari di quei giovani soldati di leva mandati allo sbaraglio e alla morte. Anche loro sono vittime di questa guerra. Che Putin sia quel che è non lo scopriamo oggi. Ma non si può criminalizzare l’intero popolo russo. L’Europa non deve prestarsi a questo.
L’Europa, lei dice. Sta esistendo in questa tragica vicenda?
Direi proprio di sì. Lo si vede, ad esempio, da come si sta affrontando l’emergenza dei rifugiati ucraini. In passato non è stato così. Già oggi, secondo l’ultimo riscontro dell’Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ndr) sono più di 3,2 milioni i civili ucraini che hanno trovato ospitalità in Paesi Ue, in particolare quelli confinanti, come la Polonia. Dobbiamo rafforzare questa rete di protezione, e al tempo stesso marcare una maggiore iniziativa diplomatica.
E questo comporta una correzione politica…
Quale sarebbe questa correzione?
Non appiattirsi in tutto e per tutto sulla Nato. Il che vuol dire sugli Stati Uniti. Dico questo alla vigilia dell’intervento del presidente Biden a Bruxelles. Sia chiaro: lungi da me voler mettere in discussione l’alleanza con gli Stati Uniti, ma tra essere alleati o “dipendenti” c’è una grande differenza. Spesso si è detto, penso alle vicende mediorientali, alla dimenticata Palestina, che l’Europa era un gigante economico e un nano politico. Ecco, è giunto il tempo di mostrarsi più alti. E lo possiamo fare, perché siamo in grado di farlo. Lo si è dimostrato, pur con tutti i limiti, nella lotta al Covid-19, l’Europa ha mostrato di sapersi ritrovare unita in situazioni di straordinaria emergenza. E la guerra è una straordinaria, drammatica emergenza. Un’incisiva azione diplomatica non esclude le sanzioni ma non può risolversi con esse.
Di cosa c’è bisogno, a suo avviso?
Di aprire un tavolo negoziale. E contemporaneamente a un cessate-il-fuoco totale. Su questo, però, occorre essere realisti: un serio negoziato è quello che punta al raggiungimento di un compromesso tra le parti in conflitto. Non può essere la ratifica dei rapporti di forza raggiunti sul campo, né essere sinonimo di resa di uno dei belligeranti. Il compromesso presuppone sacrifici, rinunce da ambedue le parti. Il che riguarda certamente la Russia, ma non esime l’Ucraina. Perché una cosa, a un mese dall’inizio delle ostilità, mi pare chiara: sarà difficile, se non impossibile, tornare allo status quo precedente.
Il movimento pacifista italiano parla di “neutralità attiva”. E anche qui, la stampa mainstream, alza l’indice accusatorio: neutralità in questa vicenda significa parteggiare per l’aggressore…
Senta, le storie individuali e collettive parlano da sole. Penso alle tante organizzazioni che hanno dato vita alla manifestazione per la pace a Piazza San Giovanni a Roma. Ma c’è davvero qualcuno che in buona fede possa tacciare, faccio solo dei nomi, Emergency, Amnesty International, Libera di don Ciotti, l’Arci, le Acli, l’Anpi, la Cgil e tanti altri, di essere filo-Putin? È essere filo-Putin sostenere, come hanno fatto i promotori di quella come di tante altre iniziative di questi giorni, “la massima solidarietà alle popolazioni coinvolte e sostenendo tutti gli sforzi della società civile pacifista e dei lavoratori e lavoratrici in Ucraina e Russia che si oppongono alla guerra con la nonviolenza”? È essere “filo-Putin” affermare che la guerra è il problema e non la soluzione? O è sostenere il falso, affermare che l’occidente, Stati Uniti ed Europa in primis, hanno sottovalutato le preoccupazioni della Russia per l’avanzamento ad Est della Nato? Preoccupazioni, si badi bene, che precedono l’avvento al potere di Vladimir Putin. Le armi non sono la soluzione.
E qui ritorniamo alla scelta dell’Italia.
Lei insiste su questo e io non mi sottraggo. Non potevamo lasciare sola l’Ucraina, attaccata da un Paese enormemente più forte sul piano militare. Fornire le armi è un deterrente, è inviare un messaggio a Putin: l’Europa c’è, e non è quell’anello debole immaginato dal presidente russo. Insisto su un punto che ritengo di grande importanza: per la seconda volta, dopo la pandemia, l’Europa si mostra unita, determinata, parla con una voce sola. E discute finalmente anche di una difesa comune. Che ha senso se è funzionale ad una politica estera comune.
Lei in precedente ha plaudito al modo in cui l’Europa sta affrontando l’emergenza dei rifugiati ucraini. Dov’è il limite a suo avviso?
Il limite è nel comportamento, tutt’altro che solidale, tenuto in precedenza. Penso, solo per rimanere in quell’area, alla tragedia umanitaria dei migranti abbandonati al freddo ai confini tra la Bielorussia e la Polonia. E ai migranti respinti nel Mediterraneo o sulla rotta balcanica. Questo è inaccettabile. L’Europa che sostiene i rifugiati ucraini deve anche ripensare le sue politiche di accoglienza. La solidarietà non si concilia con i muri, le barriere di filo spinato, che una parte dell’Europa ha realizzato anche attingendo a finanziamenti UE. La solidarietà non può essere à la carte, non ci sono profughi di serie A e profughi di serie B. Per questo in un mio recente intervento a Bruxelles, ho esortato l’Europa a non chiudere gli occhi sulla sorte di migliaia di cittadini in fuga dall’Afghanistan solo perché una guerra, altrettanto odiosa, si sta compiendo più in prossimità dei nostri confini.
Lei è stato eletto, con una marea di voti, nelle liste del Partito democratico e fa parte, all’Europarlamento, del gruppo S&D. Tornando al tema iniziale della nostra conversazione, come interpreta il silenzio dei vertici dem di fronte alla campagna di criminalizzazione del movimento pacifista?
Non voglio ergermi a giudice né fare il primo della classe, tranciando giudizi approssimativi o stilando improvvidi elenchi dei “buoni” o dei “cattivi”. Però penso, in generale, che su temi come i migranti, l’accoglienza, e ora anche la guerra, a volte la sinistra si dimostri troppo timida nell’affrontare quello che, spesso a torto, viene considerato il sentire comune degli italiani. Una timidezza che finisce per favorire le destre che sulla paura di una inesistente “invasione” di migranti ha provato a costruire i suoi consensi elettorali. Ecco, la sinistra dovrebbe credere di più in se stessa, nei valori e nei principi che connotano la sua storia. Ed avere più fiducia negli italiani e nella loro apertura. Questo sì che sarebbe un investimento sul futuro. Quanto agli eserciti, in uno io mi riconosco: è quello della pace. Che un comandante in capo già ce l’ha. Un signore vestito di bianco: Papa Francesco.
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