Il microfono lo ha agguantato per primo Berlusconi. Piazza del Popolo è piena (a metà, si scoprirà dopo). I quattro leader salgono sul palco insieme e viene giù il cielo. Ci sono tutti. Ma la piazza è sua. Di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. E già questo non deve fare troppo piacere ai suoi alleati, a Silvio Berlusconi e a Matteo Salvini. Il Cavaliere e il Capitano, ospiti in casa loro e di quella che fino a pochi anni fa consideravano irrilevante o quasi. La leader di Fratelli d’Italia sente palazzo Chigi “in tasca”, la lunga attesa è finita: la prima donna premier, il primo partito di destra al governo e a molte distanze dal secondo che sarà più il Pd che la Lega. Un’attesa durata decenni. Un doppio tetto di cristallo – donna e destra – che va in frantumi grazie a questa tenace e giovane politica italiana.

Ci sono tante emozioni, troppe, difficili da tenere a bada. Sul grande palco e nella piazza di fedelissimi tra cui tante donne. Si è molto discusso se la questione genere alla fine favorirà o meno Meloni: governare non è una questione di genere ma di capacità, il fatto che ci provi per la prima volta una donna aiuta. Non c’è dubbio. I sondaggi, tenuti segreti ma aggiornati ogni 24 ore con i fedelissimi, non lasciano dubbi: essere il partito più votato in assoluto e della sua coalizione è ormai un dato che molti danno per acquisito. La piazza mormora, lo sa e non ne fa mistero. Ma ci sono ancora tanti “ma” con cui Meloni deve fare i conti. Variabili e ombre che per quanto li tenga a bada nell’intervento finale di questa strana e brutta campagna elettorale, le attraversano gli occhi e la mente. Sono proprio i sondaggi a complicare i piani di Giorgia Meloni. Per due motivi: Fratelli d’Italia stacca di troppe lunghezze Lega e Forza Italia che sembrano perdere e anche male; i 5 Stelle dati in forte crescita al Sud, soprattutto in Campania, grazie alla promessa del reddito di cittadinanza. Entrambe queste due variabili potrebbero a loro modo generare il caos.

Umiliare Lega e Forza Italia potrebbe scatenare – tanto per fare qualche esempio Fdi al 27, Lega tra il 10 e il 12, Forza Italia tra il 5 e il 7 – spinte centrifughe anziché centripete. Gli azzurri porterebbero a casa un ministero – gli Esteri affidati a Tajani a mo’ di “garanzia” rispetto al Ppe e all’Europa – ma sarebbe nei fatti sciolta nelle file leghiste. Il famoso partito unico che Salvini ha in testa da anni. Nella Lega – due, tre ministeri – si aprirebbe un secondo dopo il problema Salvini: il segretario ha perso il magic touch e comincerebbero le manovre per la sostituzione. Vedremo fino a che punto Meloni eserciterà il diritto di prelazione su incarichi, nomine, potere e governo. A naso, dopo tanta astinenza, sarà difficile tenere a bada gli appetiti delle prime e delle terze file tutte già pronte a reclamare la promozione, la nomina e l’incarico. Senza contare che dalle parti di Fratelli d’Italia ancora ricordano quando Salvini nel 2018 ruppe il patto per fare il governo giallo-verde. In un quadro del genere, così “ribaltato” rispetto anche solo a un anno fa, che affidabilità può avere la coalizione a cui il capo dello Stato darà l’incarico di formare il governo?

Arriviamo al secondo problema che sta ingrossando sotto gli occhi ora dopo ora: la crescita al Sud di Conte e dei 5 Stelle. La legge elettorale assegna 1/3 dei seggi con l’uninominale e 2/3 con il proporzionale. Il professor D’Alimonte, esperto di sistemi elettorali, l’altro giorno ha spiegato alcune combinazioni. La maggioranza assoluta al centrodestra (per semplificare i 101 seggi al Senato) può arrivare, sempre al Senato, se il cdx vince il 42% dei seggi proporzionali e il 65% dei maggioritari. Con il 45% dei proporzionali, basterebbe il 60% dei maggioritari. In entrambi i casi si tratterebbe comunque di maggioranze risicate, in balia del primo mal di pancia, di numeri imprevisti e inattesi del Terzo Polo, nella parte proporzionale e dei 5 Stelle nella quota maggioritaria. Il reddito di cittadinanza che Meloni ha bollato, a onor suo senza ipocrisie, come una misura sbagliata e da cambiare, si sta rivelando la gallina delle uova d’oro e pare stia spingendo Conte ben oltre la doppia cifra. Nel 2018 alla Camera il Movimento ha preso il 43% da Roma in giù.

Il Sud mette in palio 31 collegi uninominali al Senato. Se il Movimento dovesse vincerne la metà, sommandoli con quelli che il Pd dovrebbe vincere nel centro nord, toglierebbe al centrodestra la maggioranza al Senato. E a questo punto entrerebbe in gioco il Terzo Polo che potrebbe a sua volta portare sorprese. Insomma, ieri sera sul palco di piazza del Popolo, dopo la foto di famiglia dei quattro leader – Berlusconi, Lupi, Meloni, Salvini – è stato l’ex premier il primo ad agguantare (era previsto in scaletta) il microfono, ha parlato di tasse (“siamo gli unici a non averle mai alzate”) e di “unità del centrodestra”. Poi ha parlato Maurizio Lupi. E intanto Meloni e Salvini hanno parlato a lungo – “animatamente ma poi anche scherzando” racconta chi li ha visti – di fianco al grande palco. Aver iniziato con quasi un’ora di ritardo (Meloni ha dovuto registrare Porta a Porta) non ha aiutato il pubblico. Lasciando la piazza, lato del Tevere, si scopre infatti che i camion sono fermi a metà del catino e che quindi, tutto sommato, la piazza che dal palco sembrava piena, lo era sì ma a metà. Vincere, sì, ma come? E qui si apre l’altra parte della storia che solo lo spoglio definitivo delle schede potrà sviluppare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.