Kamala Harris è la nuova super star americana. Ormai (salvo saette dal cielo) è la vice di Biden ma sarebbe più corretto dire che Biden, un gentiluomo democratico azzurrino ma appassito, è lui il vice di Kamala Harris. Perché? Il perché lo avete già visto anche sulle libertarie pagine di questo nostro giornale: la Harris è donna ed amica di Michelle Obama (lei sì formidabile e gagliardissima) rappresenta il pacchetto-premio per tutti i democrats del mondo che hanno sudato sangue e tossine durante i quattro mostruosi anni dell’odioso Donald Trump. Naturalmente chi legge sa che io faccio odiosamente il tifo per Trump che ha ai miei occhi una straordinaria qualità: manda in bestia quasi tutti coloro che io trovo banali, ipocriti, petulanti, quelli che simulano l’attacco cardiaco democratico, l’ictus dell’indignazione. Trump li manda in bestia e a me diverte così come mi divertiva vedere la gente con la bava alla bocca per Ronald Reagan, quell’attorucolo da film western che ci porterà sicuramente alla guerra, con quella spocchia fascista.

Ma restiamo a Kamala. Vado sul personale. Ho due figli maschi che vivono in Florida pur essendo nati a Roma, educati alla scuola francese e ora perfettamente americani. Di loro mi fido. Quando hanno sentito dire che la Harris puntava alla Casa Bianca, hanno avuto un attacco di repulsione: “Ma chi? Quella fascista (testuale) che manda in galera la gente per una canna? Ha riempito le prigioni di adolescenti neri che hanno anche famiglia per la droga…” Ma ti puoi affidare a gente che ha diciassette e quattordici anni? No, meglio andare su Wikipedia e su you-Tube dove trovi le interviste. La signora Harris è intelligente e molto brava nel parlare e nel porgersi ed è stata giudice per molto tempo, severissima e spesso persecutrice per reati minimi. Cos’altro? Ah, sì: condiscending. Ovvero condiscendente che in americano è un’accusa da ergastolo: è condiscending perché mentre discute fa le facce e calza la maschera del disprezzo, del compatimento, della commiserazione, del sarcasmo, della superiorità genetica. E questo manda in bestia l’americano medio davanti al televisore perché pretende che chi svolge una funzione pubblica faccia almeno finta di essere pacato e rispettoso delle idee che non condivide. Prevedo l’obiezione: e Donald, allora? Non è forse il campione delle facce, della condiscendenza? Risposta (personale, mia, quindi non affidabile perché odiosa): Donald è la caricatura vivente delle regole e quindi quando fa lo scemo, il matto, il clown, quando mente, bara, rigira la frittata, lo fa per mandare in bestia tutti i dem del mondo che sono per loro disgrazia così seriosi e austeri come se avessero ingoiato il canonico manico di scopa.

E dunque adesso è il momento del viaggio di nozze con Kamala che, attenzione, non è quel genio di Michelle Obama. Benché Michelle sia la sua allenatrice. Infatti, dietro Kamala c’è il clan degli Obama-Clinton che è come quello dei Gracchi nella Roma repubblicana o dei Kennedy a Boston: comandano e decidono il bene e il male per tutti. Ed è Kamala la causa di questa campagna elettorale e anche delle schede votate per posta come non era mai accaduto. Poiché – come dice Michelle nel suo documentario su se stessa “Becoming” – i nostri afroamericani sono pigri e non vanno a votare, ma noi adesso gli organizziamo un servizio postale a domicilio personalizzato e gestito da funzionari di cui ci fidiamo così finalmente questi porci dei repubblicani potremo seppellirli sotto camionate di schede prefabbricate e prestampate, precotte. Il documento d’identità? Non importa, signora: voti qui, ecco, grazie, così e buona sera al resto ci pensiamo noi.

Kamala Harris ha spiegato in televisione che lei non sarà una vicepresidente nell’ombra ma che è già d’accordo con “sleeping Joe” (cioè come lo chiama Trump Joe morto di sonno) per avere un sacco di deleghe fin da subito. In genere i vice stanno nell’ala nascosta della Casa Banca e nessuno li disturba finché non capita di succedere al presidente che ci lascia la pelle. L’ultimo vicepresidente attivista e ben presente sulla scena politica fu Al Gore, vice di Bill Clinton, ma che fallì nella tappa finale alla presidenza. Kamala è una gagliarda cinquantenne e vivrà a lungo. Sleeping Joe è un 77enne, il più vecchio candidato della storia e tutti sanno che molto difficilmente vivrà abbastanza per farse due turni di Casa Bianca, come tutti i presidenti sperano. E dunque la ben allenata Kamala è pronta, si vede già con la mano destra sulla Bibbia giurare di servire e rispettare la Costituzione degli Stati Uniti d’America, God bless. Dunque, è lei il candidato reale, non il povero Joe, che ha il vizio di copiare tutti i discorsi che pronuncia e i giornalisti lo hanno già beccato più volte per questo vizio. Ma è una personcina tranquilla, ha fatto prima un patto con i marxisti che seguono Sanders, finché non gli hanno detto che con loro non avrebbe mai vinto. E così poi si è rivolto al ceto medio più conservatore, chiedendo voti a chiunque e comunque la pensi, salvo il comune denominatore di non volere più Trump.

Trump sapeva benissimo che “sleeping Joe” è solo una copertura, che il grande scoop democratico è stato quello del voto per posta e che il suo vero successore sarà la figlia di un funzionario indiano nell’India britannica che si presenta come nera americana, ma pazienza. Il piano sembra riuscito, per quante code e strascichi ci saranno coi conteggi e i ricorsi, ma l’America è fatta così. Chi in questo momento sta davvero vivendo le sue ore più belle è l’ex giudice Kamala Harris, spaventa-marmocchi perché è una manettara, sicura di poter contare sulla protezione e la guida del più potente clan americano, quello degli Obama-Clinton in cui è stata cooptata. Che dire? Lunga vita al presidente Biden, speriamo che tenga duro e non muoia per i prossimi otto anni, e anche più se ce la fa. Purché ci tenga al sicuro da questo personaggio che – già adorato e venerato in Europa come accadde ad Obama – minaccia di trasformare l’America in un Canada europeo, ipocrita, politicamente correttissimo, buonista senza essere buono e per lei delireranno le folle del politicamente corretto e dei finti afroamericani in carriera.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.