Putin non ha soltanto posto in essere una ferrea autocrazia fondata sul suo potere personale, ma ha anche costruito una autentica cleptocrazia all’interno e all’esterno della Russia. Anche attraverso i suoi oligarchi, ai quali ha consegnato enormi risorse, ha costruito nei principali Paesi europei una rete di business e di traffici di tutti i tipi. Per ciò che riguarda l’Italia Iacoboni e Paolucci hanno scritto un libro dal titolo Oligarchi e dal sottotitolo come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia. Il sistema Putin, quindi, ha investito gli ambienti più vari, leader politici, partiti e correnti di partiti, ministri, ambasciate (vedi quella Italiana in Russia), gruppi economici. Anche su questo snodo però il passo più lungo della gamba fatto da Putin in Ucraina ha provocato un autentico cortocircuitò.

Da un lato, a parte i servi di basso livello, gli ambienti più altolocati che nelle varie nazioni europee hanno usufruito del sistema Putin erano anche convinti che la politica estera del leader russo sarebbe stata articolata e moderata e che dopo la Crimea, da loro coperta, non ci sarebbero state altre iniziative particolarmente aggressive, per cui di fronte all’aggressione all’Ucraina, essi si sono inabissati nel silenzio in attesa di tempi migliori. A sua volta Putin, nella sua straordinaria arroganza, accompagnata in questa occasione da una certa ottusità, ha ritenuto che avendo fatto arricchire una parte almeno dei suoi interlocutori in modo assai consistente, tutti costoro avrebbero coperto e sostenuto anche le sue iniziative più arrischiate e pericolose. Ciò non è avvenuto, per cui il sistema Putin è entrato in crisi sia nella sua versione politico militare sia in quella cleplocratica. Ma tutto ciò non deve portare a trarre conseguenze sbagliate, fondate sulla faciloneria.

A parte tutto il resto, a coloro che invocano anche giustamente la trattativa va detto però che per fare una trattativa bisogna essere in due. Ma finora mentre Zelensky ha manifestato più volte la sua volontà di trattare non altrettanto si può dire di Putin che ha alle spalle precedenti tutt’altro che rassicuranti (appunto la Siria e la Cecenia). Inoltre è tutt’altro che chiaro quello che sta maturando sul campo. Allora l’esercito russo si ritira proprio per ritirarsi oppure si ritira per riposizionarsi e poi per ripartire ? E sia se si ritira sia se riparte quali sono le sue intenzioni di fondo? Nel migliore dei casi (ma noi non escludiamo nulla, neanche la ripresa di una offensiva totale), Putin punta ad uno smembramento della Ucraina, alla conquista non solo del Donbass ma anche di altro: in primo luogo c’è’ l’enorme incognita costituita dal futuro di Odessa, che è cosa fondamentale. Come si vede siamo di fronte ad interrogativi enormi perché sul campo è in atto una iniziativa imperialistico-nazionalistica di grande aggressività che vede addirittura l’utilizzazione di autentici killer mercenari come le Brigate Wagner, le milizie cecene, gli hezbolah islamici e i siriani di Assad, e per retroterra una visione geopolitica assai significativa che è quella di rovesciare l’egemonia politico-culturale che dal 1945 ad oggi ha caratterizzato il mondo.

Allora, dio ci scampi dagli eccessi di ideologia applicati alla geopolitica e alla politica estera. A nostro avviso su questo terreno, ferme alcune scelte di valore (la religione della libertà, il rifiuto di ogni tipo di razzismo, l’antifascismo, l’antinazismo, l’anticomunismo, la solidarietà economico-sociale), le opzioni politiche vanno fatte sulla base dell’analisi di cui che è realmente in campo. Per capirci facciamo alcuni esempi tratti dalla storia. Rispetto alla guerra del 1915-18, a nostro avviso era del tutto valida la scelta per il neutralismo. In Italia in campo ce ne furono addirittura tre: il neutralismo socialista (da Turati ai massimalisti), il neutralismo cattolico (don Sturzo e gran parte dei popolari), il neutralismo liberale (Giolitti). Quei neutralismi erano maggioritari nel Paese, la scelta per la guerra fu un sostanziale colpo di mano. All’inverso, rispetto alla seconda guerra mondiale, la scelta giusta fu proprio quella per la guerra antifascista e antinazista degli eserciti alleati, e dei movimenti partigiani che ricevettero armi per la Resistenza. Così adesso se la Russia fosse guidata da personalità come Gorbaciov e il primo Eltzin sarebbe del tutto giusta la pratica della pace e accordi sul disarmo.

Invece con un dittatore ideologo della grande Russia e sostenitore di un nazionalismo predatorio l’unica linea per raggiungere adesso la pace attraverso una trattativa reale fra la Russia e l’Ucraina e per evitare in prospettiva la Terza Guerra Mondiale, è proprio quella oggi di sostenere in tutti i modi la resistenza ucraina, e poi quella di costruire un forte esercito europeo, insieme alleato e autonomo rispetto agli Usa. Sostenere per l’oggi, come ho letto anche su Il Riformista, l’ipotesi di una Europa disarmata con Putin al confine è un puro esercizio di ideologia distaccata dalla realtà. Precedentemente abbiamo citato gli esempi della Germania, guidata da un governo socialdemocratico con Verdi e Liberali. Quella di Conte è pura propaganda: per l’Italia un aumento di spesa militare finalizzata alla costruzione di un esercito europeo è funzionale all’acquisizione di tecnologie e alla tutela del Paese e anche al peso politico ed economico sui tavoli in cui si giocano partite decisive.

Cinica Real politik? Può darsi! Ma viviamo in un mondo in cui molti dei giocatori fondamentali combinano insieme la diplomazia con l’uso della forza. In questo mondo si può anche sognare ma poi, al risveglio, c’è anche la possibilità di passare dal sogno ad un incubo, trovandosi inermi e disarmati. Infine, qualche precisazione circa i richiami fatti da Piero Sansonetti e da Fausto Bertinotti a proposito del Movimento dei partigiani della pace e di Riccardo Lombardi. Il Movimento dei Partigiani della Pace è sotto nel 1949. Tra i partigiani della pace c’erano certamente, come dice Piero Sansonetti, “giganti come Picasso, Brecht, Einstein, Aleramo”, ma, consapevolmente o no, essi facevano parte di un movimento diretto, gestito, organizzato e finanziato dall’Urss e dai partiti comunisti. In Italia il Movimento dei partigiani della pace era organizzato dal Pci e dal Psi allora Uniti nel Fronte Popolare. Bertinotti esalta “l’acomunista” Riccardo Lombardi presidente dei partigiani della pace italiani. Avendo avuto modo di parlarne più volte con Riccardo Lombardi, non posso fare a meno di rilevare che le cose sono andate in modo diverso e per ragioni assai serie. Come è noto il Fronte popolare perse le elezioni nel 1948 e all’interno del Fronte nella Lista unica – voluta solo da una parte del Psi – i socialisti furono letteralmente “asfaltati” dai comunisti che bloccarono le preferenze.

Subito dopo le elezioni del 18 aprile, Riccardo Lombardi guidò all’interno del Psi una vasta e multiforme aggregazione autonomista (Iacometti, Vittorio Foa, Fernando Santi, Giovanni Pieraccini, in una prima fase anche Pertini) che conquistò la maggioranza del congresso di Genova del Psi e che mise in minoranza Nenni e Morandi. Subito finirono i finanziamenti al Psi che provenivano dall’Urss e dalle cooperative rosse. In seguito a tutto ciò quella maggioranza ebbe una vita assai difficile e stentata. Il punto di rottura si verificò proprio sul nodo dei rapporti con l’Urss. Ad un articolo di Lombardi su l’Avanti che rivendicava l’autonomia della classe operaia italiana rispetto alla politica dei blocchi, così rispose Rodolfo Morandi: “Compagno Lombardi, la tradizione di combattimento del nostro Partito, la fiducia profonda nell’Unione sovietica che ha sempre alimentato le masse dei nostri militanti, esigono il tuo rispetto e ti diciamo che non sarai tu a svellere il socialismo italiano estraniandolo dalla lotta di classe nella quale si decidono i destini della classe operaia e di tutti i lavoratori liberi. Noi meno di te ce ne intendiamo di socialismo liberale, ti facciamo solo osservare che il partito non ha mai inteso sostituire al suo marxismo il bagaglio ideologico di Giustizia e Liberta’”.

Così si andò a un nuovo congresso nel 1949 a Firenze nel quale Nenni e Morandi furono sostenuti dal Pci con le cosiddette doppie tessere (la vicenda è descritta nel libro di E. Agarossi, Viktor Zasvaksi Togliatti e Stalin). Malgrado tutto ciò – confidenza di Riccardo Lombardi al sottoscritto “sia pure di pochissimo avevamo rivinto il congresso. Ma non avevamo una lira. Allora le fonti di finanziamento erano solo due. Ce li vedi il sottoscritto, Foa e Santi chiedere i soldi alla Cia, alla Fiat o all’Assolombarda? A quel punto ci arrendemmo e consegnammo il partito a Nenni e Morandi modificando in commissione Verifica e Poteri i risultati congressuali. Sciogliemmo anche la corrente.

Nel partito si affermò un durissimo regime staliniano. Io fui mandato in esilio ai partigiani della pace proprio perché scontassi i miei peccati di neutralismo, che era però un neutralismo assoluto, certamente nei confronti degli Usa, ma anche nei confronti dell’Urss. Se avessi rifiutato, sarei finito o fuori o ai margini del partito. Andò molto peggio a Lelio Basso.  Egli fu escluso dalla direzione del partito, veniva pedinato e spiato per i suoi rapporti con i dirigenti socialisti e comunisti in Ungheria e in Cecoslovacchia che erano stati arrestati e spesso fucilati ad opera dei partiti comunisti di quei due Paesi. Allora è bene che gli attuali pacifisti autentici non si rifacciano all’esperienza mondiale e italiana dei partigiani della pace perché essa, al di là delle singole personalità di prestigio, fu guidata è controllata dall’Urss e dai partiti comunisti stalinisti. Quanto a Riccardo Lombardi, la sua storia nei Partigiani della Pace è assai complessa e deriva da uno dei tanti chiaroscuri che hanno caratterizzato la drammatica vita del Psi.

Ultima parte, la prima parte è stata pubblicata ieri