«Ora è il momento di riflettere sulla ricostruzione che verrà a mano a mano che l’emergenza sanitaria andrà attenuandosi». Con queste parole, qualche giorno fa, il presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, ha aperto l’anno giudiziario della giustizia amministrativa. Aggiungendo che «occorrono, insieme, una chiara visione politica, fatta di realismo lungimirante, e un sistema amministrativo agile ed efficiente».

Ormai insediato il governo Draghi, sostenuto da un’ampia maggioranza e con la massima garanzia di competenza, la “visione politica” potrebbe essere a portata di mano. E anche il carburante per riavviare la macchina sarà a breve disponibile grazie al Recovery Plan, rispetto al quale c’è da confidare che le proposte dell’Italia sapranno essere all’altezza delle necessità. Ma la visione e le risorse economiche hanno bisogno delle gambe di una pubblica amministrazione capace di rispondere con il cambio di passo che la ricostruzione richiede.

Il presidente del Consiglio di Stato, dal suo osservatorio privilegiato, ha individuato una serie di questioni, quali «ridurre gli oneri amministrativi non necessari, superare la paura della firma, concentrarsi sulla riduzione dello stock regolatorio e sull’organizzazione delle stazioni appaltanti, fornendo le stesse e le amministrazioni in generale di personale tecnico, giovane, motivato e adeguatamente remunerato». In questo contesto il settore che più richiederà attenzione sarà quello degli appalti pubblici per la sua capacità di generare non soltanto sviluppo economico, ma anche utilità e benessere per le imprese e i cittadini. Sarà necessario uno straordinario sforzo di investimenti pubblici, che non potrà (né dovrà) però realizzarsi in un quadro regolatorio fatto di legislazione emergenziale, che inevitabilmente attenua le tutele dei privati e mette a rischio la stessa qualità dell’opera.

L’Italia ha fatto molti progressi nella materia degli appalti sia sul piano della disciplina sostanziale sia sul piano processuale (come ricorda la stessa relazione sullo stato della giustizia amministrativa), ma è evidente a tutti che molto ancora si può e deve essere fatto, soprattutto se i volumi degli interventi sono, com’è auspicabile, destinati ad aumentare. Di fronte a questo stato di cose condividiamo le riflessioni del presidente Patroni Griffi. Serve un approccio “tecnico ed economico e non più solo legalistico”. Gli interventi dovranno pertanto essere mirati a colpire i colli di bottiglia che, più di altri, condizionano l’efficienza del sistema dei contratti pubblici e rischiano di ledere i principi di qualità, efficienza e tempestività nella realizzazione degli interventi che sono le vere minacce alla ricostruzione.

Per capire dove agire, è necessario assumere una prospettiva che parta dai dati di realtà. Il fenomeno dei cantieri fermi è il più delle volte il frutto di errori che si riferiscono alla fase della programmazione e della progettazione degli interventi. Se l’impresa, appena inizia a eseguire l’intervento dopo la stipula del contratto, si accorge che la pubblica amministrazione non ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per l’opera che intende realizzare, il cantiere si blocca. Si tratta solo di un esempio tra i tanti che si potrebbero fare e che gli addetti ai lavori ben conoscono. L’esempio però ci fa capire che le maggiori criticità riguardano il raccordo tra il documento di indirizzo della progettazione, la progettazione stessa e tutti i vincoli di contorno (di tipo urbanistico, ambientale, di interesse culturale etc.). È qui che allora si deve in via prioritaria intervenire sia con una strategia di medio periodo sia con una strategia di breve periodo. Per la prima occorre un grande progetto di formazione dei dirigenti e dei funzionari delle pubbliche amministrazioni.

Un arco temporale di tre anni può sicuramente essere sufficiente a condizione che si potenzi il sistema di formazione a partire dal ruolo della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (ma al riguardo perché non pensare a una istituzione pubblica esclusivamente dedicata a trasferire conoscenze e competenze nella materia dei contratti pubblici?). Bisogna però agire anche in un’ottica di breve periodo e dunque anticipare la verifica, oggi obbligatoria per il progetto esecutivo, a tutte le fasi di sviluppo dello stesso a partire da quella di fattibilità tecnico-economica. Se il Rup, il progettista e il verificatore operano sin dall’inizio dell’attività di progettazione in stretta sinergia, non solo il rischio dell’errore progettuale viene ridotto, ma si può determinare anche un circolo virtuoso di scambio e di trasferimento di conoscenze e di competenze di cui a giovarsi sarebbero in primo luogo i dirigenti pubblici. Mai come in questo caso l’intelligenza collettiva, frutto dell’interazione di soggetti diversi, può rappresentare una risorsa indispensabile per fare una progettazione di qualità che rappresenta il presupposto più importante per la celere realizzazione dell’opera una volta stipulato il contratto con l’appaltatore.

Qualche intervento forse si può e si deve fare anche sul versante della procedura di gara e del contenzioso che si genera dinanzi al giudice amministrativo. Malgrado il rito processuale in materia di appalti ha certamente subito un’accelerazione, rimane problematica la disciplina delle misure cautelari, le quali, sempre più spesso si risolvono in decisioni che, nel nome dell’interesse pubblico, consentono comunque la stipulazione del contratto rinviando al merito la decisione sulla legittimità dell’aggiudicazione e determinando in questo modo l’effetto di garantire al concorrente che ha proposto ricorso una tutela solo risarcitoria, destinata a risolversi in caso di vittoria nel merito con un aggravio di costi per l’erario e con la certezza che, chi ha nel frattempo eseguito i lavori, non è stata l’impresa più qualificata.

Da questo punto di vista si potrebbe, sulla falsariga di quanto già previsto nel codice del processo amministrativo in modo facoltativo, rendere obbligatoria, all’esito della camera di consiglio, una pronuncia nel merito, allorché non sussistano esigenze di integrazione del contraddittorio e di approfondimento delle questioni relative ai fatti. Il più delle volte le impugnazioni dell’aggiudicazione, come ben sanno gli addetti ai lavori, riguardano casi in cui i fatti da accertare sono relativamente semplici e i nodi da sciogliere attengono in modo esclusivo alla interpretazione delle norme.

Infine, con riferimento alla fase esecutiva vera e propria, coerentemente con le premesse prima espresse, si dovrebbe prevedere che l’errore progettuale sollevato dall’appaltatore debba essere accertato in tempi rapidi (trenta giorni per la decisione da parte del Direttore dei lavori e del Rup) e che il progetto di variante debba essere predisposto e approvato entro un termine anch’esso contenuto (trenta o al massimo sessanta giorni per i casi più complessi). Affinché il meccanismo descritto possa ben funzionare è necessario però prevedere che il ruolo di Direttore dei lavori non possa essere affidato al progettista che ha redatto il progetto oppure, nel caso si voglia mantenere la coincidenza dei ruoli, che la valutazione dell’errore progettuale debba essere affidato a un soggetto terzo. Una valutazione oggettiva ed imparziale della sussistenza di tale errore non può prescindere dall’introduzione a livello normativo delle regole indicate.

Modifiche limitate, si dirà, ma che nella realtà della vita produttiva incrociano buona parte delle problematiche che sono all’origine del malfunzionamento del sistema degli appalti e del fenomeno dei cantieri fermi. Risolvere i conflitti di interessi, responsabilizzare imprese e funzionari pubblici (cui andrebbero peraltro riconosciuti adeguati incentivi di professionalità), evitare effetti perversi della tutela cautelare, potrebbero essere passi importanti per tratteggiare il profilo di gestione amministrativa della rinascita, di cui questo paese ha disperato bisogno.

Giovanni Guzzetta, Alberto Zito

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