Per quanto riguarda la crisi della politica, è facilmente rintracciabile una mancanza di autorevolezza, delle istituzioni di qualsiasi ordine e grado: dal governo alle regioni sono stati semplicemente una carta assorbente. A differenza delle parole dei sistemi di comunicazione che sono state pesanti, le parole della politica sono state leggere, prive di qualunque influenza. È vero che la politica ha perso legittimità da diverso tempo, ma neppure in un frangente come questo, in cui non sono in campo direttamente le categorie classiche della politica, ha dimostrato la sua impotenza, la sua totale estraneità alla vita comune delle persone.

Possiamo poi individuare un elemento di crisi nel sistema istituzionale italiano, che ha mostrato la sua incongruenza. Il rapporto tra il potere centrale e potere delle regioni si è rivelato non disciplinato da un comune sentire e da una comune cultura. Messa in mora l’autorevolezza dei comuni – la cui autonomia sarebbe stata fruttuosa e che ha a che fare con le radici della grande tradizione italiana – il bilanciamento tra potere centrale e regioni è tra due ordinamenti burocratici, entrambi privi della linfa vitale del popolo.

A proposito della crisi antropologica, c’è un’immagine molto pertinente che descrive lo stato delle cose esistenti nella formula usata da Giuseppe De Rita, ripresa da Vincenzo Gioberti, ovvero l’immagine del “popolo di sabbia”. Il popolo di sabbia è un ossimoro: “popolo” fa pensare che si tratti di un processo unitario; la “sabbia” fa pensare ai granelli che vivono l’uno accanto all’altro in una assoluta solitudine. Quest’ossimoro è rappresentativo della realtà che viviamo: continuiamo a considerarci popolo, ma siamo solo granelli di sabbia. Questa antropologia della solitudine non poteva che portare al formarsi del senso comune di questi ultimi nostri, drammatici anni: la vittoria di un populismo reazionario, che ha fatto della paura la sua bandiera. In primis, la paura nei confronti dell’altro.

L’altro non è più considerato una risorsa, come nelle culture del movimento operario. Il populismo reazionario ha proposto invece il rovesciamento di questo paradigma, individuando nell’altro una minaccia e un pericolo, tanto più grande, quanto l’altro è diverso. L’immigrato, il nero, l’ebreo e il malato, invece che elementi che richiedono solidarietà, inducono alla paura. La paura è stata infatti la cifra con cui si è affrontata questa crisi, è il prodotto di una mutazione della cultura del Paese a cui corrisponde la desertificazione della politica e un ruolo inquinante delle comunicazioni di massa.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.