Progressisti e pacifisti. Un connubio “naturale” o un ossimoro ai tempi della guerra d’Ucraina? Ne discutiamo con Brando Benifei, capo delegazione del Pd al Parlamento europeo.

Si può essere “neutrali”, sia pure “attivi”, come sostiene il movimento pacifista in Italia, di fronte ad una guerra d’aggressione come quella scatenata dalla Russia in Ucraina?
In questo momento ogni scelta va soppesata fino in fondo e la grande spinta per la pace che viene dagli italiani e dagli europei è una ricchezza e un aiuto importante per non fare scelte sbagliate. È altrettanto chiaro che di fronte all’aggressione ingiustificata di un Paese sovrano alle porte dell’Unione Europea, è inevitabile agire per consentire a questo popolo di difendersi da un attacco militare e intervenire per dare immediati aiuti umanitari. La priorità oggi è la pace e a questo lavoriamo, senza dimenticare le responsabilità di Putin, che ha deciso di invadere un Paese evitando di affrontare qualunque confronto diplomatico preventivo, che pure era in corso anche con l’impegno dei governi europei.

Ingerenza umanitaria è un concetto scomparso dal vocabolario politico della sinistra?
È un equilibrio difficile quello che si sta mantenendo, perché ogni giorno facciamo incontri con rappresentanze politiche e sociali dell’Ucraina che ci chiedono di fare di più, di andare oltre alle sanzioni e agli aiuti difensivi, attuando una no-fly zone sulle aree dove i civili non riescono più a fuggire. Noi sappiamo però che ogni passo verso un impegno militare diretto sarebbe un passo che ci allontana dalla pace, perciò abbiamo il dovere di continuare a spingere per una ripresa immediata dei negoziati e al contempo impedire che a questo tavolo l’Ucraina arrivi smembrata e annientata dall’azione militare russa, perché ciò renderebbe impossibile il confronto e porterebbe invece dritti verso una cronicizzazione del conflitto.

C’è chi consiglia Zelensky alla resa. Lei come la vede?
Zelensky è consapevole del fatto che dovrà concedere qualcosa per arrivare a una soluzione che salvaguardi l’autonomia e la sovranità dell’Ucraina, concetto che non è mai assoluto ma che si realizza concretamente nella realtà storica. Ma una resa non è possibile e sarebbe inaccettabile pensarlo: il governo e il popolo ucraino con il suo esercito hanno dimostrato grande coraggio e determinazione a resistere a un’invasione brutale e violenta, ciò deve condizionare anche il nostro atteggiamento oggi. È tutto l’opposto di ciò che è accaduto in Afghanistan con la fuga di Ashraf Ghani e con la resa dell’esercito, si vede la differenza fra una situazione per certi versi artificiale come quella afgana, crollata con la partenza degli americani, e un desiderio di libertà e pace nel proprio Paese che gli ucraini hanno deciso di voler difendere, guardando all’Europa.

Dal suo osservatorio privilegiato dell’Europarlamento, come valuta l’atteggiamento dell’Europa in questa drammatica vicenda?
L’ Europa ha reagito in modo compatto dopo che i calcoli di Putin sull’Ucraina si sono rivelati pesantemente errati: la “guerra-lampo” è fallita e le opinioni pubbliche europee oggi appoggiano l’isolamento internazionale della Russia, a cui sono giunti i Paesi europei ma anche la grande parte degli Stati del mondo. L’Unione si è mostrata finalmente unita, con sanzioni nette e con il sostegno fattivo all’Ucraina, insieme alla scelta di aprire ai profughi con la direttiva per la protezione temporanea speciale, ma deve ancora ricorrere a estenuanti vertici come quello di Versailles per cercare di prendere le decisioni più complicate sull’unione dell’energia, della difesa e per raccogliere le ingenti risorse necessarie. Queste situazioni mettono a nudo la difficoltà istituzionale dell’Europa a essere preparata a crisi di questo tipo, per via della sua struttura ancora incompleta, nonostante la dura lezione della pandemia. Per questo parlare di come costruire l’unità politica degli europei, superando il sistema dei veti in politica estera e fiscale, magari con un nucleo di Paesi pronti a fare un passo in più verso un embrione di unione federale, è discutere di un argomento di assoluta attualità.

Diversi analisti sostengono che, piaccia o no, con Putin e la Russia si deve trattare. Ma si può trattare sotto ricatto nucleare?
Non si può ragionare con una tigre quando la tua testa è nella sua bocca”: è chiaro che la presenza del pulsante nucleare ha cambiato i termini rispetto a quando Churchill pronunciava questa frase. Oggi però è proprio l’impegno esplicito dell’Unione Europea a tenere aperta la porta per una maggiore integrazione dell’Ucraina, unitamente agli aiuti, diretti e indiretti, che stiamo dando nel resistere all’avanzata russa, a rendere possibile il necessario negoziato. Questo conflitto, prima latente e poi esploso con la ingiustificabile aggressione russa, vedeva all’inizio l’Europa in un ruolo secondario nonostante gli sforzi diplomatici, mentre oggi riuscire a costruire una pace giusta nel più breve tempo possibile è diventato un impegno che riguarda fino in fondo l’anima e il futuro del progetto europeo.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.