La Corte di Cassazione ha finalmente risolto la vexata quaestio dello spazio vitale minimo che un detenuto deve avere in cella. Tre metri quadrati al netto del letto e delle varie suppellettili presenti: armadietto, tavolino e sgabello. Ho subito pensato che fosse una grande conquista di civiltà. Sì, perché fino a tale sentenza, il Dap considerava i tre metri quadri sanciti da una sentenza Cedu come lordi. E quindi ne concedeva ai detenuti sì e no la metà: un metro e mezzo a testa.

La mia soddisfazione si è tramutata in sconcerto perché leggendo ieri il Riformista ho scoperto che esiste una direttiva CE che stabilisce che il maiale adulto «deve disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 metri quadri superficie elevabile a 10 in caso di accoppiamento».
Fermo restando che i detenuti non hanno diritto alla sessualità – se non onanista – mi sono chiesto se non sia più opportuno farsi tutelare dalla Protezione Animali, per esempio dall’onorevole Maria Vittoria Brambilla da sempre in prima linea nel difendere i diritti delle altre specie viventi. Penso sia l’unica possibilità di migliorare la condizione dei prigionieri perché solo equiparando i detenuti agli animali – e nello specifico, al maiale – forse la Cedu o il Consiglio d’Europa potranno elevare la superficie utile per ogni detenuto a 6 metri quadri, che sarebbe una vera pacchia.

Non credo che questo Parlamento o questo governo vorranno occuparsi seriamente dei detenuti. Per non parlare poi delle traduzioni che avvengono in piccole gabbie ricavate all’interno di furgoni blindati dove si sta ammanettati per ore al caldo o al freddo e nella semioscurità: mi chiedo se c’è qualche direttiva europea che stabilisca le modalità per il trasporto dei maiali adulti. Applicate ai detenuti italiani le norme per i maiali europei: andrà bene sia per i vostri elettori sia per i nostri diritti.