«Napoli riparta dai suoi punti di forza, la cultura identitaria in primis. Il Recovery Fund sarà fondamentale: dovrà essere utilizzato per riqualificare Bagnoli, l’Albergo dei poveri e per le periferie. La città non ha bisogno di nuove infrastrutture, ma di riqualificare quelle già esistenti e, in questo senso, bisogna programmare la manutenzione e smetterla di lavorare in emergenza. Il nuovo sindaco? Mi piacerebbe vedere Gaetano Manfredi alla guida della città». Renata Picone, direttrice della Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del paesaggio dell’università Federico II, suggerisce come ripensare la città e i suoi spazi.

Professoressa, cosa pensa dei dieci progetti che il Comune di Napoli ha intenzione di realizzare con i fondi del Recovery Plan?
«Tra le dieci iniziative ce ne sono alcune sulle quali sono molto d’accordo: sono quelle che ricalcano un orientamento nazionale. Penso ai temi del green, della società resiliente, del patrimonio come luogo identitario, perché non bisogna dimenticare che Napoli è la terza città d’Italia e, come tale, è uno dei cuori pulsanti del Paese. Tra gli obiettivi ci sono 100 milioni per il centro storico e 150 milioni per l’Albergo dei poveri che è una scommessa importantissima per Napoli».

Quale dovrebbe essere la nuova vita dell’Albergo dei poveri?
«Parliamo di un microcosmo e, quindi, non potrà avere una sola funzione. Bisogna pensare alla rinascita e alla restituzione alla città di questo complesso straordinario in una molteplicità di funzioni. L’albergo, che conserva la suggestione del sogno illuminato di Carlo di Borbone, dispone di una quantità e di una qualità degli spazi che consentono di poter progettare molte attività. Lo spazio esterno potrebbe diventare un polo culturale. Penso al teatro all’aperto, a un luogo di accoglienza dei cittadini. Dovrà essere gestito in modo illuminato. La sua riqualificazione è tra le sfide più importanti per Napoli».

Torniamo al Recovery. Parte dei fondi sarà destinata alle infrastrutture. Cosa suggerisce?
«Napoli non ha bisogno tanto di nuove infrastrutture quanto della cura, della manutenzione e della riqualificazione di quelle già esistenti. Non c’è bisogno di nuova saturazione del suolo, ma di riguardare all’esistente, per costruire su quello che c’è già una trasformazione attenta ai valori e alle specificità di questa città. Fare rete di tutte le infrastrutture senza aggiungerne di nuove, ecco l’obiettivo. Bisogna pensare al porto, a Bagnoli e alle periferie».

Quale strategia suggerisce per la manutenzione della città?
«Bisogna innanzitutto cambiare mentalità, cioè uscire dalla forma mentis dell’emergenza per abbracciare quella di pianificazione e manutenzione costante. Viste le condizioni della città, occorre prima fare interventi straordinari e di restauro e qui c’è bisogno del Recovery Plan; poi si deve procedere a una manutenzione programmata nel tempo. Bisogna progettare interventi duraturi nel tempo».

Ha parlato anche di Bagnoli: che idea di quella zona della città?
«La rinascita di Bagnoli rappresenta una grande opportunità per la città ed è sicuramente un appuntamento importantissimo nell’agenda dei progetti del Recovery. Si è lavorato molto su quell’area e non si deve ricominciare da capo, ma partire da quello che di buono è stato fatto finora. Non bastano solo il parco, gli alberghi, la spiaggia, ma ci vuole una regia che metta a sistema il le singole parti in un discorso di programmazione nel quale sia il pubblico che il privato potranno lavorare per il bene della comunità. Il tutto conoscendo bene il valore paesaggistico di Bagnoli».

Per far sì che le periferie non siano più tali, invece, di cosa c’è bisogno?
«Senza dubbio dell’università che da quasi 800 anni è un volano di sviluppo per i quartieri in cui si è insediata. È stato così quando si è insediata a Mezzocannone o a Fuorigrotta. Stesso discorso quando la Federico II è arrivata a San Giovanni a Teduccio, dove poi è approdata l’Apple Accademy e si è dato vita a una riqualificazione di tutta una zona che prima era in condizioni disastrose. L’università ha sempre seminato sviluppo. Ora bisogna non perdere le postazioni acquisite. Per esempio, l’università di Mezzocannone, nel cuore del centro storico della città, si sta spopolando e sta cedendo il passo a bed and breakfast e attività di street food, quindi a un turismo di bassa lega. L’ateneo dovrebbe investire per far tornare i giovani nel centro storico, rendendo accessibili anche di sera gli spazi universitari».

Finora il modello economico della città ruotava proprio attorno a b&b e street food: su cosa dovrà puntare Napoli dopo la pandemia?
«Occorre guardare con consapevolezza alle proprie specificità e lavorare sul brand Napoli che è quello di una città che coltiva identità, che ancora possiede un centro storico abitato da napoletani, cosa che non avviene più in altre grandi città come Firenze o Venezia. Questa è una specificità importante che Napoli non dovrà perdere, perché grazie a essa riesce a essere fortemente attrattiva, nonostante le problematiche di carattere socio–economico».

Il dopo-pandemia impone di ripensare anche gli spazi della città. In che modo?
«Il virus ci ha abituato a un modo di vivere molto diverso, ci ha avvicinato all’ambiente domestico e ha fatto emergere l’esigenza di avere spazi dove poter lavorare. Sono cambiate anche le modalità degli incontri di lavoro che avverranno sempre più da remoto e, in tal senso, sarà importante ripensare gli spazi verdi della città, i parchi urbani e i giardini storici che potranno essere utilizzati per il lavoro e il tempo libero. Il verde riacquisterà senza dubbio centralità».

Adesso è il momento di pensare anche a un nuovo sindaco per Napoli. Chi le piacerebbe vedere alla guida della città?
«Il nuovo inquilino di Palazzo San Giacomo dovrà essere una persona con un’ampia visione di Napoli, che abbia un’esperienza come politico ma soprattutto come amministratore. Credo che l’ex rettore della Federico II, già ministro dell’Università nel governo Conte II, sarebbe perfetto come sindaco: ha portato l’Ateneo fuori da una situazione economica critica, facendola diventare uno di quelli più prestigiosi del Paese. Potrebbe fare lo stesso con la città».

La priorità del prossimo sindaco?
«Risanare il bilancio sfruttando i punti di forza della città: il Recovery Fund, oggi, ci permette di valorizzare gli assi strategici per lo sviluppo e la crescita di Napoli».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.