Il rilancio
L’europa deve fare un salto in avanti, ci vuole un’identità comune
La questione politica centrale aperta, nel nostro paese, dall’epidemia coronavirus si può sintetizzare in una domanda: a che serve l’Europa? Ha scritto Biagio de Giovanni, su questo giornale, l’Europa sta morendo sotto l’attacco del virus. Emma Bonino, a sua volta, ha sottolineato che l’Europa non è la burocrazia di Bruxelles, e che la vera identità europea va ancora costruita. Renzi, intervistato da Piero Sansonetti, rilancia affermando che la sola via da seguire sono gli Stati Uniti d’Europa. Poi ci sono gli esponenti Pd, come David Sassoli ed il ministro Gualtieri, che, di fronte alla presidente von der Leyen che ha bocciato i Covid-bond, allineandosi all’opinione della Germania e dell’Olanda, si sono venuti a trovare nella posizione di bravi scolaretti, che dopo essere stati obbedienti e rispettosi, sempre fedeli all’europeismo di Bruxelles, sono bocciati in malo modo.
Occorre subito dire che un esame della questione Europa non può che muovere da una realistica visione dei problemi sul tavolo. La von der Leyen ha bocciato i Covid-bond osservando che vi è un problema di garanzie. È un problema che realmente sta in campo. Né una risposta adeguata può essere: la Ue dà solo la garanzia, ma ogni Stato si ripaga il suo debito. Questo perché la garanzia comune non è una cosa astratta. Il rischio che il debito non sia onorato c’è, e lo spread sta lì a dimostrarlo: esso misura il timore, purtroppo crescente, che l’Italia non sia in grado di far fronte alla montagna del debito pubblico che la opprime.
Oggi è tenuto basso dagli acquisti della Bce, ma proprio la necessità di tale intervento massiccio segnala l’esistenza del problema. Ed allora, la posizione della Merkel e della von der Leyen segnala solo che gli elettori tedeschi non vogliono correre il rischio di pagare il debito degli italiani. Sono disposti a manifestare la loro solidarietà accogliendo alcuni malati italiani nelle loro strutture di terapia intensiva, ma non sono disposti a correre il rischio di pagare i nostri debiti. In base a quale principio dare loro torto? Siamo forse un unico paese ed un unico popolo?
Ed è proprio questo il problema. L’epidemia del coronavirus sta mettendo a nudo molte questioni irrisolte e, tra queste, l’insufficienza della attuale costruzione europea. Già il fenomeno dell’immigrazione di massa aveva mostrato che i confini italiani, greci o spagnoli sono solo italiani, greci o spagnoli, ma nient’affatto europei. Ed oggi l’emergenza coronavirus è, innanzitutto, una emergenza italiana, spagnola, francese, ma non europea. L’Europa interviene, acquista i titoli dei paesi in sofferenza, attraverso la Bce, ma non ha alcun ruolo in prima fila nel combattere l’emergenza, è un alleato di retrovia. Basta dire che, anche sul piano meramente organizzativo, manca addirittura uno standard comune per rilevare i dati e scambiare le informazioni.
A dirla tutta, questa Europa già si comporta come quell’Europa dei popoli, che vogliono i sovranisti e che considerano, coerentemente, insopportabile quel di più di potere burocratico che si trova a Bruxelles e che, effettivamente, in tale prospettiva non ha alcuna giustificazione. Quanto accade sta dimostrando che una Europa così è troppo poco utile in rapporto ai vincoli che comporta. Questo è quello che, giorno dopo giorno, i popoli dell’Europa stanno registrando. Il rischio è che questo distacco tra l’idea di Europa ed il sentire comune diventi irrecuperabile. Ed è inutile prendersela con i populisti alla Boris Johnson: non sono loro ad aver aperto una voragine nel cuore dei cittadini.
L’unica soluzione possibile, per invertire questa tendenza, non è certo, allora, quella di fare i bravi bambini agli occhi degli eurocrati. Occorrono, invece, gesti forti, di ribellione alle tradizionali filiere del potere. Che segnino in modo anche traumatico l’impossibilità di accettare il burocratico tran-tran quotidiano di questa Europa, dando concretezza alla convinzione che lo status quo non è più accettabile, che la costruzione europea deve andare avanti, che l’unità politica, militare, fiscale deve essere portata a compimento in un quadro di partecipazione democratica dei cittadini europei. L’elezione a presidente della Commissione di Ursula von del Leyen si è, viceversa, collocata in una prospettiva di continuità con un passato sempre meno entusiasmante. L’emergenza coronavirus certamente segna il compimento di una fase del processo di globalizzazione. Ma lascia una pluralità di attori mondiali di dimensioni tali da rendere irrilevante il peso di ciascuno stato europeo, Germania compresa. Ai cittadini europei serve, perciò, l’Europa, come dimensione non solo economica, ma anche politica e militare. L’Europa attuale è dannosa, perché fa perdere questa consapevolezza.
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