La guerra Russia-Ucraina
“Putin attacca Kiev ma pensa alla Georgia”, il vero obiettivo dello Zar secondo Anna Zafesova e Mauro Voerzio
Una è Anna Zafesova tra le massime esperte di Russia -un tempo si chiamavano sovietologi. L’altro è Mauro Voerzio, studioso della propaganda putiniana, oggi impegnato in una missione della Ue in Georgia. Sono le voci cui ci affidiamo per smontare il giocattolo interpretativo dell’invasione ucraina consegnandolo a una dimensione storica e logica aderente ai fatti. Il primo fatto va ricercato nella “Bibbia di guerra” del regime di Mosca, la Dottrina militare della Federazione Russa, firmata da Vladimir Putin il 25 dicembre 2014. Il tema è quello dell’uso delle armi nucleari. Nel documento il Cremlino – ricorda Voerzio – si riserva comunque la possibilità di utilizzare le armi atomiche in due tipi di conflitti: quelli su vasta scala e quelli regionali (art. 16). E il tipo di arma è quello “tattico”, minore gittata e minore forza. Traduzione: per colpire basi militari o arrestare un’avanzata.
Secondo fatto: Putin ha scelto “l’opzione Nerone”, ovvero la distruzione di ogni infrastruttura in Ucraina tranne le centrali nucleari. Qual è il senso di conquistare una tabula rasa? «Questa è la modalità di guerra putiniana – è la voce di Anna Zafesova. È stata messa in pratica in Siria e in Cecenia. Il suo modo di agire è tipico di un femminicidio, se non ti posso avere ti distruggo». Gestire il “Vietnam ucraino” dal punto di vista militare è una missione impossibile, servirebbero mezzo milione di occupanti armati secondo Voerzio. Impantanarsi in una guerra modello Cecenia porterebbe a un problema interno. Ecco perché Mosca potrebbe aver bisogno di un’altra campagna, stavolta meno complessa. Qui lo sguardo cade proprio sulla Georgia. Se l’Ucraina è considerata da Putin una creazione di Lenin, la Georgia è la patria di Stalin, con una importante postilla: Tbilisi ha già combattuto con Mosca nel 2008 – antipasto dell’invasione odierna- e non dispone certo delle capacità di resistenza ucraine. Ancora più pericolosa sarebbe l’opzione di utilizzare l’avamposto della Serbia nel cuore dell’Europa per cercare l’incidente. Un precedente da brivido.
Ma è nella storia che dobbiamo ritrovare la logica dell’ex-colonnello del Kgb. «Putin è ossessionato dalla storia – conferma Zafesova. Il suo è uno sguardo totalmente rivolto al passato, che interpreta in una chiave imperialista sovietica, di restaurazione delle certezze nelle quali è stato educato. Chi vuole un’Ucraina indipendente è un nazionalista/nazista, Mosca ha liberato l’Europa dell’Est dal nazismo e non ha colpe storiche nei confronti di polacchi, cechi o lituani, la grandezza di un Paese si misura dalla sua potenza militare, l’Occidente è un nemico che vorrebbe accerchiare la Russia per impedire il suo imminente trionfo. È la storia da propaganda, quella secondo la quale “la Russia non ha mai aggredito nessuno, come dice il portavoce di Putin Dmitry Peskov, è una storia che cancella Katyn e il patto Molotov-Ribbentrop, il 1956 a Budapest e il 1968 a Praga, senza parlare della guerra con la Finlandia del 1939, in cui un Paese molto più piccolo dell’Ucraina ha inflitto a Stalin una sconfitta umiliante. Quindi, Putin segue le linee divisorie della storia che conosce, quando chiede una nuova Yalta per spartire l’Europa, senza capire che il mondo è cambiato e che la storia non è scritta una volta per tutte: non a caso chiede garanzie di un’Ucraina che non entri “mai” nella Nato, incurante del fatto che il “mai” nella storia e nella politica non esiste».
È per questo che c’è il sospetto che l’invasione dell’Ucraina sia una false flag, un test per saggiare la capacità e le divisioni dell’Occidente. Altri obiettivi potrebbero essere gli Stati Baltici, assai più piccoli dell’Ucraina in termini territoriali e di densità. Qui richiamare il trattato della Nato, per dirla brutalmente, serve a poco: la storia della guerra insegna che in alcuni momenti i trattati sono carta straccia. Il fronte in questo caso non è solo militare ma interno all’Occidente. E cioè: come si negozia con i dittatori e fino a quando? «Questo è un manuale ancora tutto da scrivere – ammette Zafesova -. Perché con i dittatori si esce dal terreno razionale, l’unico sul quale possono muoversi la politica e la diplomazia di un Paese democratico. Le ore trascorse da Macron, Scholz e prima di lui Merkel a cercare di spiegare a Putin la situazione, a tentare di scalfire la sua fiducia in un quadro del mondo pesantemente deformato dalla sua propaganda, lo dimostrano: non è possibile negoziare con un uomo che chiama il nero bianco, che non condivide nulla della situazione, che insiste a vedere un quadro molto diverso da quello reale. Un uomo che per anni si è rifiutato di negoziare con Kyiv sostenendo che la Russia non era una controparte del conflitto, e che sostiene che quella della Crimea non fu un’annessione».
Il “gioco” di Putin è un continuo rialzo, una continua rivendicazione e questo è l’aspetto più complesso, sia per le trattative sia per la gestione dell’emergenza. Quello che rimane ancora davvero nebuloso è il fronte interno, le mosse delle gerarchie militari ovvero quante mani ci sono tra Putin e le armi atomiche. «Non lo sappiamo con certezza, è uno dei segreti meglio custoditi di qualunque Stato nucleare. Ufficialmente, la “valigetta nucleare” la possiedono in tre, il presidente, il capo dello Stato maggiore e il ministro della Difesa, e per far partire l’attacco bastano due componenti del trio. In realtà però la “valigetta” è di fatto uno strumento di comunicazione di codici segreti inviati alle centrali di comando dei missili, che devono armarli e far scattare l’attacco. Quindi in realtà le mani sono tante, e questo potrebbe rappresentare una speranza in caso il Cremlino desse l’ordine. La tattica non è quella degli scacchi ma quella del poker senza limiti in cui la frase di chi rilancia è “cosa sei disposto a perdere per seguire il mio gioco?”». Per Putin 100mila vittime russe sono niente, per l’Occidente sarebbe un’ecatombe difficile da gestire politicamente.
«Ma la partita a poker è finita – secondo Anna Zafesova – nel momento in cui ha lanciato le bombe contro l’Ucraina. Non è più un potenziale pericolo, è una guerra vera, e vediamo come sul campo la Russia stia mostrando delle debolezze sconcertanti. Putin può perdere anche un milione di russi, e il sospetto è che i russi potrebbero anche rassegnarsi, come si sono rassegnati a un milione di vittime di Covid. Ma Yalta è costata all’Urss di Stalin 27 milioni di vite. Il poker richiede non solo faccia tosta, richiede calcolo, e Putin l’ha sbagliato clamorosamente. Per ora, non riesce ad avanzare nemmeno fino a prendere Kharkiv, e la reazione compatta dell’Occidente – e dell’Oriente, tra Giappone e Taiwan – sta già mettendo in ginocchio l’economia russa. Intensificare i bombardamenti è un’opzione cui ricorrerà quasi sicuramente, ma non farà che abbassare la soglia di prudenza degli occidentali, in particolare dell’Europa invasa da milioni di profughi. Per imporre una nuova Yalta bisogna vincere, la Russia non ha il potenziale al momento». Sono questi tre fatti a fare intravedere l’obiettivo, una guerra per una nuova Yalta per sedersi da protagonista al tavolo dei vincitori. Per farlo non può che avanzare ma fino a quando?
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