Il conflitto in Europa
“Le bombe sono risposta russa alla caduta del Muro di Berlino”, parla Angelo Bolaffi

La Germania “riarmista” e l’Europa alla guerra dell’Est. Il Riformista ne discute con Angelo Bolaffi. Filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino. È membro della Grüne Akademie della Böll Stiftung di Berlino e del direttivo di Villa Vigoni “Centro italo-tedesco per l’eccellenza europea”. È autore di numerosi saggi tra i quali ricordiamo Germania/Europa. Due punti di vista sulle opportunità e i rischi dell’egemonia tedesca (con Pierluigi Ciocca, Donzelli 2017) e il più recente Calendario civile europeo. I nodi storici di una costruzione difficile (Donzelli, 2019).
Tirata in ballo per la “guerra del gas”. “Indagata” per i 102 miliardi di euro destinati agli armamenti. Professor Bolaffi, in una Europa scossa dalla guerra d’Ucraina, sta nascendo la “Grande Germania” militarizzata?
Non diciamo fesserie. Intanto i termini “militarismo”, “riarmo”, rinviano a cose viste nel ’35 o alla polemica dei comunisti dopo l’adesione della Germania alla Nato. Bisogna vedere se questi 102 miliardi comprendono già quelli che si spendono adesso. In secondo luogo, si tratta di adeguare le spese militari della Germania, cosa promessa da decenni e mai realizzata, al famoso 2% del contributo tedesco alla Nato. Ma quale “Grande Germania”! Piuttosto sta nascendo una “debole Europa”. L’Italia sta messa come sappiamo, non certo alla grande, non sappiamo come finirà la Francia. Dei tre Paesi, due sono politicamente al limite dell’abisso, mentre la Germania nonostante tutto ha una sua stabilità politica che le consente di restare l’ancoraggio dell’Europa a difesa del suo equilibrio in una fase terribile. “Grande Germania”, no. Diciamo semmai che c’è un ripensamento radicale, addirittura nella forma dell’autocritica fatta dal presidente Steinmeier, della politica estera tedesca, soprattutto nei rapporti con la Russia di Putin.
In cosa s’invera questo ripensamento?
Nel ripensare una storia dal punto di vista diplomatico, militare, economico e culturale. E anche un ripensamento del modello economico. La riflessione sulla dipendenza geoeconomica diventa inevitabilmente riflessione sulla geopolitica.
C’è chi, a fronte di questo ripensamento, ricorda, in polemica, la Ostpolitik di Willy Brandt.
Intanto non bisogna dimenticare che a quel tempo la Germania era divisa. Cosa che in Europa si continua a fare, enfatizzando l’aspetto diplomatico internazionale della Ostpolitik, mettendo tra parentesi l’aspetto nazionale. La Ostpolitik era un modo, date le condizioni di equilibrio della Guerra Fredda, di tenere aperta la prospettiva della riunificazione. Era un dialogo tra le due Germanie, cosa che oggi non esiste più, ovviamente. Secondo, partiva dal presupposto, confermato poi dall’accordo fatto ad Helsinki nel ’75 e poi dalla Carta di Parigi, che l’Unione Sovietica, a differenza della Russia di Putin, non era una potenza “revisionista”, cioè pronta a cambiare gli equilibri diplomatici e territoriali in Europa usciti dagli accordi tra Stati, ma era una potenza che rispettava lo statu quo. Lo statu quo era la divisione dell’Europa a est e a ovest, ma la Ostpolitik partiva dal presupposto che si potesse tenere aperto un dialogo con l’Urss guidata da una leadership che non tendeva a voler cambiare con la forza gli equilibri degli Stati. La caduta del Muro di Berlino è il frutto dell’Ostpolitik. E la guerra in Ucraina è la risposta armata della Russia alla caduta del Muro di Berlino.
Un’affermazione molto forte, professor Bolaffi…
Di cui sono fermamente convinto. In Ucraina oggi si combatte la guerra che la Russia di Gorbaciov decise di non fare. Quando Putin afferma che la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo è la fine dell’Urss, dice esattamente questo. Noi ci eravamo rallegrati che la caduta del Muro di Berlino fosse avvenuta senza spargimento di sangue, adesso la vendetta di Putin è spingersi laddove Gorbaciov, saggiamente, non aveva voluto fare.
Restando ad Est. In Ungheria, Viktor Orban ha rivinto le elezioni, ottenendo il suo quarto mandato consecutivo. In Serbia, il sovranista Aleksandar Vucic è stato riconfermato al primo turno alla presidenza, Si tratta di due alleati della Russia di Putin. Come la mettiamo?
La mettiamo che la Russia si è comperata tutta l’Europa, come ben sappiamo. Si e comperata l’Italia, con Salvini e la Meloni, si è comperata la Le Pen in Francia, ha condizionato le elezioni negli Stati Uniti con la vittoria di Trump. C’è stata un’opera, rispetto alla quale le democrazie occidentali hanno fatto finta di non accorgersi, di destabilizzazione che avveniva sotto i loro occhi. Comunque sia, la Serbia, per motivi culturali e religiosi, è sempre stata filorussa, come dimostra Milosevic. Quanto ad Orban, lui cercherà di tenere i piedi in due staffe…
Vale a dire?
Lui terrà l’accordo con la Nato ma in cambio esigerà carta bianca quanto alla repressione interna.
Tornando alla Germania…
La Germania fino all’ultimo ha creduto a Putin. In questi giorni ho riletto alcune pagine della biografia di Angela Merkel. La Merkel ha firmato gli accordi di “Minsk 2”, del 2015, di notte, sottoscritti assieme a Hollande, Putin e Poroshenko, perché doveva raggiungere Bruxelles dove l’attendeva quella che allora era per l’Europa la grana più esplosiva: il debito della Grecia. Ad attenderla c’era l’allora primo ministro greco, Tsipras. Resta il fatto che la Germania aveva coltivato l’idea di implementare il rapporto con la Russia, nonostante Putin avesse alterato con la forza i confini riconosciuti dopo la Seconda guerra mondiale. E questo perché convinti che in Europa non era possibile la pace senza Putin. Purtroppo si sono sbagliati. E hanno fatto lo stesso errore che fecero gli inglesi e i francesi con Hitler, cercando un accordo a tutti i costi con chi voleva fare ciò che aveva sempre detto, cioè mandare per aria l’accordo uscito dalla Prima guerra mondiale. Mi lasci aggiungere che se c’è una responsabilità grande che va ascritta ad Angela Merkel è quella di aver avuto un ruolo decisivo, anche se non in solitaria, nell’accrescimento della dipendenza dell’Europa dal gas russo. In questo, è stata per niente “europea”, pensando agli interessi del suo Paese. L’aver consentito la costruzione del Nord Stream 2 è stato un errore gravissimo.
Molti in queste settimane si sono esercitati nel definire questa guerra: guerra d’aggressione o, sul fronte opposto, guerra per procura. E per lei?
Sul fatto che sia una guerra d’aggressione non ci piove. Fino alla vigilia dell’invasione, e prima del famoso discorso al Bundestag, il 27 febbraio, in cui annunciò il cambiamento della strategia militare, Scholz era andato da Putin, il 23 febbraio, con l’idea, come dicevano al ministero degli Esteri tedesco, di portargli una scala per aiutarlo a scendere dall’albero. Lui dall’albero non ha voluto scendere, e il giorno dopo ha scatenato la guerra. Una guerra d’aggressione.
Quanto al protagonismo tedesco. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si sta dimostrando molto attiva in questa gravissima crisi. Che segno è questo?
Intanto va detto che la von der Leyen è la rappresentante più pura della democrazia di Bonn. Lei è figlia d’arte, essendo figlia del primo ministro della Bassa Sassonia, Albrecht von der Leyen, è nata a Bruxelles, parla quattro lingue. È proprio la rappresentante più lontana dalla tradizione prussiana-tedesca. Da questo punto di vista, è convinta, a mio avviso a ragione, che oggi il futuro dell’Ucraina non sta nell’entrare cosa peraltro che nessuno le aveva garantito, nella Nato, ma nell’Europa. Questo è il futuro vero dell’Ucraina. E temo che sia questo il punto su cui Putin non intenda cedere.
Il rinnovato attivismo tedesco non può favorire la realizzazione di quel sistema di difesa europeo di cui tanto si è parlato ma poco o niente realizzato?
Questo sì. Dobbiamo vedere come andranno le presidenziali in Francia, che hanno un valore storico. I risultati del primo turno delle presidenziali evidenziano che in Francia esiste un radicato scetticismo anti europesista, legato a questioni di natura sociale ed economica ma anche a qualcosa che è profondamente radicato nella cultura francese, e cioè l’idea di sovranità nazionale. Ricordiamoci che la Francia per due volte ha fatto fallire il progetto europeo: nel ’53 la Difesa e nel 2005 con la Costituzione. Oggi si tratta di puntare con la massima decisione alla costruzione di una difesa comune europea. Se prima della guerra in Ucraina era una opzione auspicabile, oggi appare un obiettivo di vitale importanza. Per due motivi. Uno di ordine economico-sociale. La costruzione di una difesa comune europea significa una razionalizzazione delle spese che consentirebbe di uscire dall’alternativa armi o pane. Poi c’è il grande passo da fare: come la Germania ha “europeizzato” la sua moneta, così la prospettiva è che la Francia “europeizzi” la sua force de frappe.
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