L'intervista
Intervista al professor Di Federico: “Grazie a Palamara hanno fatto carriera anche i giudici che lo giudicheranno”
«Se fossi in loro io mi sentirei a disagio»: è dunque l’imbarazzo il sentimento che, secondo Giuseppe Di Federico, professore emerito di Ordinamento giudiziario dell’Università di Bologna, dovrebbero provare quei magistrati del Csm chiamati a giudicare Luca Palamara, gli stessi «la cui carriera o elezione in Consiglio si è in vario modo avvantaggiata del correntismo». E dell’affaire Berlusconi ci dice: è stato perseguitato dalla magistratura.
Professore, in settimana si chiuderà la partita sulla riforma del Csm. Sulla base di quanto emerso in questi giorni, come giudica le proposte di riforma?
Non ho letto nessun testo ufficiale sulle riforme che verranno proposte, per quel che ne ho letto sui giornali non mi sembra che le innovazioni di cui il Ministro Bonafede ha parlato possano migliorare significativamente il funzionamento del Csm e la qualità delle sue prestazioni. Certamente non la riforma del sistema elettorale, né l’aumento da 24 a 30 dei componenti elettivi del Csm, che corrisponde ad una pressante richiesta avanzata proprio dalle correnti (serve tra l’altro a meglio garantire la presenza delle correnti più piccole nelle più importanti commissioni referenti del Consiglio). L’unica proposta su cui concordo è l’abolizione delle delibere “a pacchetto” nelle quali il Csm decide su numerose nomine dopo una trattativa spesso laboriosa e logorante tra le correnti. Mi fermo qui.
Si tratta davvero di una riforma che pone un freno alle degenerazioni correntizie, o è solo una operazione di facciata?
Per volere del Csm i magistrati fanno di regola la loro carriera sulla base dell’anzianità e non di reali valutazioni del merito professionale. Al momento di scegliere tra vari candidati la documentazione a disposizione dei consiglieri del Csm dice quasi sempre che sono tutti bravissimi e diligentissimi. Come scegliere? Il sistema correntizio ha la funzione di facilitare queste scelte. Ogni corrente garantisce sulla bontà dei propri consociati e poi si vota. Sono scelte che vengono poi frequentemente annullate dal giudice amministrativo perché non adeguatamente motivate. Negli altri Paesi dell’Europa continentale (Germania, Francia, Olanda, ecc.) ove le valutazioni della professionalità dei magistrati sono rigorose questi problemi non esistono e non esiste neppure il potere delle correnti sulle nomine.
Il magistrato Alfonso Sabella sabato scorso a Radio Radicale ha detto che è «ipocrita che Palamara debba presentare una lista di testi per dimostrare qualcosa che si sa da decenni».
Palamara sta solo esercitando i suoi diritti di difesa. Certo gli addetti ai lavori sapevano del fenomeno e delle disfunzioni del correntismo, compresi quelli che ora accusano e giudicano Palamara in sede disciplinare, magistrati cioè la cui carriera o elezione in Consiglio si è in vario modo avvantaggiata del correntismo. È forse qui che l’ipocrisia va ricercata. Se fossi in loro io mi sentirei a disagio.
I legali di Luca Palamara hanno chiesto di trascrivere diverse telefonate che non sono state valorizzate dagli inquirenti. «È il riflesso della pratica del cherry picking, letteralmente della selezione delle ciliegie, una tecnica studiata da tempo nel diritto anglosassone delle prove», ci ha spiegato il professor Vincenzo Maiello. Che ne pensa?
Far emergere gli elementi a favore per porre in ombra quelli sfavorevoli è da sempre una tecnica difensiva ovunque e non solo in Inghilterra. Sta poi al giudice non farsi influenzare o fuorviare da queste tecniche difensive.
A suo parere l’Associazione Nazionale Magistrati dovrebbe fare maggiore autocritica e non farsi bastare la semplice espulsione del dottor Palamara?
Le disfunzioni della giustizia sono tali e tante che la sola idea di risolverle espellendo Palamara appare ridicola. Abbiamo la giustizia più disastrata tra i Paesi a consolidata democrazia. L’importante non è che l’Anm faccia autocritica ma che la politica affronti i problemi della giustizia senza farsi condizionare, come avvenuto sinora, dalle aspettative corporative della magistratura. So di star chiedendo l’impossibile.
Qual è il suo giudizio sulla ‘confessione’ postuma del giudice Franco a Silvio Berlusconi?
Mi è difficile rispondere a questa domanda per la mancanza di elementi certi. Se in realtà la domanda è se io ritenga che Berlusconi sia stato oggetto di una eccessiva attenzione da parte della magistratura, la mia risposta è sì. Su questa forma di “persecuzione” ho scritto più volte in passato, pur non essendo mai stato un fan di Berlusconi.
È corretto dire che fino ad ora né il Csm né l’Anm hanno preso posizioni chiare sulla caratterizzazione “populista” che le Procure rischiano di avere? Come ha detto il consigliere di Cassazione Giuseppe Cricenti, «alcuni pm si fanno interpreti delle attese del popolo e in questo modo acquistano un potere che sfugge al controllo della stessa magistratura».
Questo discorso sui pericoli del populismo dei Pm è fuorviante. I Pm non solo godono di piena indipendenza esterna ma sono largamente indipendenti ed autonomi anche nell’ambito dei loro uffici. Hanno poteri che nessun altro Pm ha in Europa. Nella fase delle indagini il nostro Pm è di fatto un poliziotto indipendente che a differenza del poliziotto non può essere chiamato a rispondere delle sue iniziative anche quando si dimostrino ingiustificate e gravemente dannose per i cittadini. Certo il consenso popolare può accentuare la pericolosità di questi poteri, tuttavia il populismo non è il vero problema. Il problema vero è quello di adottare forme adeguate di responsabilizzazione dell’attività del nostro Pm così come avviene in altri Paesi democratici.
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