Si terrà il prossimo 28 luglio a Palazzo dei Marescialli l’udienza per discutere delle istanze di ricusazione presentate questo martedì da Luca Palamara e da Cosimo Ferri. Non si è fatta, dunque, attendere la risposta del vice presidente del Csm David Ermini, in qualità di presidente della sezione disciplinare, alla decisione dell’ex numero uno dell’Anm di ricusare Piercamillo Davigo e a quella dell’ex ras di Magistratura indipendente ed ora deputato di Italia viva di ricusare l’intero Plenum. Quello di Ferri, in particolare, è stato il classico colpo da maestro che in pochi si aspettavano e che ha messo in seria difficoltà la sezione disciplinare. Ferri ha manifestato seri dubbi “sulla terzietà ed imparzialità” non solo dell’attuale collegio disciplinare ma di tutto il Csm in quanto in più occasioni avrebbe manifestato “indebite anticipazioni del giudizio”.

Il primo a finire nel mirino di Ferri era stato proprio Ermini che all’inaugurazione dell’ultimo anno giudiziario 2020 in Cassazione per raccontare l’accaduto aveva usato parole durissime. Si era trattato, disse, di un «agire prepotente, arrogante ed occulto tendente ad orientare inchiesta, influenzare le decisioni del Csm, e screditare magistrati». Il rischio per Ermini è ora quello di rimanere con il cerino in mano, dando l’impressione di presiedere un Csm prigioniero di se stesso. La ricusazione di tutti i consiglieri di Palazzo dei Marescialli, laici e togati, da parte di Ferri, rischia di creare un corto circuito istituzionale senza precedenti. Ferri, infatti, con la sua istanza ha messo in luce quello che molti fra gli addetti ai lavori temevano. E cioè, come sarà possibile imbastire un processo dove il giudice fino al giorno prima era il vicino di banco dell’imputato nella sala del Plenum?

Può esserci terzietà fra due persone che hanno condiviso, non solo il caffè al bar, ma attività proprie dell’organo di autogoverno della magistratura in tema di nomine ed organizzazione degli uffici? Per capire come sia stato possibile giungere a questa situazione surreale è necessario tornare all’estate del 2019 quando esplose lo “scandalo” Palamara. Con sapienti fughe di notizie alcuni giornali, Repubblica, Corriere e Messaggero, pubblicarono degli stralci delle conversazioni intercettate con il trojan inserito nel telefono dell’ex presidente dell’Anm. Per tali fughe di notizie, all’epoca si è era nel vivo dell’indagine di Perugia a carico di Palamara, non risulta sia mai stato indagato nessuno. La pubblicazione sui tre giornali di questi colloqui comportò una sollevazione nella magistratura. I più attivi furono gli esponenti delle toghe di sinistra che, sonoramente sconfitti alle elezioni del 2018 per il rinnovo della componente togata del Csm, videro l’occasione della rivincita contro la destra giudiziaria rappresentata da Ferri arrivare su un piatto d’argento. Pur non essendo indagati, solo sulla base di quanto riportato dai tre quotidiani citati, la pressione fortissima di settori della magistratura associata spinse i consiglieri coinvolti alle dimissioni. Ad uno di loro, il togato di Magistratura indipendente Paolo Criscuoli, da quanto emerso, pur non avendo aperto bocca durante tale incontro, fu materialmente impedito di partecipare ai lavori del Plenum.

Furono mesi micidiali in quanto il numero legale in Plenum era sempre a rischio. Lo scioglimento, dunque, era la soluzione più logica. Anche perché nel mercato delle nomine, come emerso dalle successive chat di Palamara, erano coinvolti tutti i gruppi associativi. Perché allora non si decise di non sciogliere il Csm. Urge riascoltare le parole pronunciate da Sergio Mattarella al Plenum straordinario del 21 giugno del 2019, all’indomani delle dimissioni “spontanee” dei consiglieri coinvolti nell’incontro fatale all’hotel Champagne. «Oggi si volta pagina nella vita del Csm. La prima di un percorso di cui non ci si può nascondere difficoltà e fatica di impegno. Dimostrando la capacità di reagire con fermezza contro ogni forma di degenerazione». E poi: «Quel che è emerso, da un’inchiesta in corso, ha disvelato un quadro sconcertante e inaccettabile».

«Quanto avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche il prestigio e l’autorevolezza dell’intero ordine giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica», aggiunse il presidente della Repubblica. «Il coacervo di manovre nascoste – continuò – di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla magistratura». Il fatto che Mattarella, basandosi su notizie riportate in modo illegale sui giornali, abbia pronunciato tali affermazioni suscita ancora oggi grandi interrogativi.